L’algoritmo terapeuta. Il tentativo di usare l'IA per rendere più efficaci le sedute di psicoterapia

Una nuova ricerca, coordinata da Adam Miner della Stanford University (Usa), ha tentato con un approccio quantitativo di spiegare, almeno in parte, perché alcuni approcci risultano maggiormente efficaci di altri.

L’algoritmo terapeuta. Il tentativo di usare l'IA per rendere più efficaci le sedute di psicoterapia

A volte utili, a volte meno (e magari anche un po’ inquietanti). Come tutti gli strumenti a nostra disposizione, infatti, anche le applicazioni dell’intelligenza artificiale (IA), in costante sviluppo, derivano la loro “qualità” non da se stesse, ma da quanto possono risultare di effettivo ausilio alle nostre attività, per l’autentico benessere umano. E proprio in questa direzione sembra andare l’uso di un nuovo algoritmo, messo a disposizione della psicologia clinica per analizzare in dettaglio le trascrizioni delle sedute di psicoterapia. E’ noto, infatti, quanto risultino cruciali in quei frangenti la scelta accurata delle parole e il modo di usarle da parte dello psicoterapeuta, tanto da determinare la differenza tra l’ottenimento o meno dell’obiettivo terapeutico prefissato. “Sappiamo da un corpus di studi ormai molto consistente – spiega Gianluca Castelnuovo, ordinario di psicologia clinica all’Università Cattolica di Milano e direttore del Servizio e del Laboratorio di psicologia clinica dell’Auxologico IRCCS – che la psicoterapia funziona, indipendentemente dall’approccio che si applica. E oltre a essere efficace, cioè funzionare, è anche efficiente, lo fa in tempi ragionevoli”. Ma non è sempre chiaro né facile individuare metodi quantitativi per valutare l’efficacia di una scelta rispetto a un’altra.
A tal fine, una nuova ricerca, coordinata da Adam Miner della Stanford University (USA), ha tentato con un approccio quantitativo di spiegare, almeno in parte, perché alcuni approcci risultano maggiormente efficaci di altri. Lo studio è stato presentato in un articolo scientifico, pubblicato sulla neonata rivista “npj Mental Health Research”.
“Questo tipo di ricerche – commenta Castelnuovo – sono importanti perché anche per noi psicologici clinici e psicoterapeuti quello che mettiamo in pratica deve essere basata sulle prove”.
Minner e colleghi, dunque hanno sviluppato un algoritmo (ora disponibile in open source sulla piattaforma Github) “ad hoc”, un vero e proprio tool kit per l’analisi del linguaggio naturale. L’applicazione, denominata CRSTL (Computational RepresentationS of Therapist Language), è in grado di esaminare le trascrizioni delle sessioni di psicoterapia. Più in dettaglio, CRSTL può analizzare in modo quantitativo ben 16 diverse caratteristiche del linguaggio usato, tra cui la frequenza con cui i terapeuti usano pronomi di prima, seconda o terza persona, oppure la quantità di forme verbali al passato, presente e futuro usate. Inoltre, l’innovativo algoritmo può misurare anche per quanto tempo parlano i terapeuti e quanto parlano i pazienti, e a che velocità. Ma “l’intelligenza” (artificiale) di CRSTL va oltre, categorizzando tutte le caratteristiche analizzate in base a tre principali aspetti: come cambiano nel corso di una sessione (timing); come cambiano in risposta all’uso del linguaggio da parte del paziente (reattività); e come differiscono da seduta a seduta e da terapeuta a terapeuta (coerenza).
Per quanto riguarda il timing, ad esempio, Minner e colleghi hanno potuto verificare che, nel corso di una sessione, i terapeuti tendono progressivamente ad un maggiore uso di pronomi in prima e seconda persona (io, noi, tu, voi) rispetto a formule più impersonali, verso l’impiego di più parole orientate al presente e al futuro rispetto al passato e meno parole emotivamente negative. Inoltre, se i pazienti tendono a parlare velocemente via via che la seduta va avanti, anche i terapisti parlano più rapidamente e più a lungo.
Circa la reattività dei terapeuti, invece, il gruppo di ricercatori ha esaminato il modo in cui essi modulano il loro discorso in risposta alle fluttuazioni nel linguaggio dei pazienti. Per esempio, in risposta a pazienti che parlavano velocemente, molti terapisti hanno rallentato la loro velocità di parola. Entra qui in gioco la questione cruciale della convergenza o della divergenza del terapeuta rispetto al paziente. Ad esempio, se il paziente dice che tutto va male e non migliorerà mai, il terapeuta potrebbe convalidare quel sentimento usando un linguaggio simile, o ammorbidirlo usando termini meno assolutisti. CRSTL, quindi, potrebbe aiutare a comprendere quale approccio sia più vantaggioso in un particolare contesto.
Infine, sul fronte della coerenza, i ricercatori hanno confrontato il modo in cui un singolo terapeuta ha utilizzato il linguaggio da una sessione all’altra. L’uso della lingua risultava più coerente nel confronto tra le sessioni condotte dalla stessa persona rispetto al confronto tra sessioni condotte da terapisti diversi. Tale dato indica che i terapeuti adottano vari modelli linguistici di riferimento, di cui si servono per parlare con pazienti diversi.
Ovviamente – gli psicoterapeuti lo sanno bene – in questo delicato campo è da mettere al bando ogni rigidità nel trarre conclusioni a partire dai dati ottenuti con l’ausilio dell’algoritmo, poiché molti altri fattori incatalogabili incidono nella relazione terapeuta-paziente. Per esempio, il fatto che durante le sedute una parte della comunicazione che non passa per l’aspetto verbale, bensì dalla postura, dagli sguardi, ecc…, tutti fattori che possono risultare determinanti per trovare il terreno su cui costruire la complicità necessaria per l’efficacia della terapia.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir