L’aumento della siccità. I drammatici dati dell’Osservatorio sulla siccità del CNR-IBE Climate Services

Tra le aree in piena emergenza, spicca il bacino del Po, dove negli ultimi cinquant'anni, si è assistito (peraltro, con un notevole impatto visivo) al progressivo riaffiorare di merci, veicoli o rifiuti abbandonati nel letto del fiume.

L’aumento della siccità. I drammatici dati dell’Osservatorio sulla siccità del CNR-IBE Climate Services

La siccità è un rischio reale anche per l’Italia? Parrebbe di sì, ad osservare gli inquietanti dati riportati nel bollettino dello scorso aprile, a cura dell’Osservatorio sulla siccità del CNR-IBE Climate Services.

Ad incidere negativamente, anzitutto le attuali condizioni climatiche: prima un inverno con oltre 100 giorni senza piogge (con conseguente prosciugamento dei bacini), poi l’arrivo del caldo anomalo primaverile (con l’aumento dell’evapotraspirazione). Fatto sta che alcune aree del Paese – Piemonte, Emilia Romagna e Veneto – già registrano un grado di siccità “estremo”, secondo la definizione degli stessi ricercatori. In queste Regioni, infatti, oltre il 25% del territorio è affetto da siccità severo-estrema, dovuta a una scarsità di piogge che risale ad almeno un anno.

Queste preoccupanti rilevazioni, purtroppo, rappresentano una conferma degli scenari descritti dal Working group II dell’Intergovernmental panel on climate change (il cui secondo rapporto risale al marzo u.s.), che preannunciavano in Europa meridionale, anche con un livello di riscaldamento globale di 1,5°C, il rischio elevato di scarsità di risorse idriche, con una percentuale di popolazione tra il 18% e il 54% costretta a dover affrontare tale disagio. Ma se il riscaldamento aumentasse, crescerebbe anche l’aridità del suolo: ipotizzando, ad esempio, uno scenario di innalzamento della temperatura di 3°C, l’aridità del suolo risulterebbe del 40% superiore rispetto a quella derivante da un innalzamento della temperatura di “soli” 1,5°C.

“A causare la siccità – spiega Ramona Magno, dell’Istituto di bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), che si è occupata del rapporto – non è stata solo l’assenza di pioggia ma anche le temperature più alte registrate a febbraio, ed eventi di Foehn che hanno aumentato il disseccamento del terreno, creando una maggiore traspirazione delle piante che in questo caso vanno in stress. Inoltre, l’evento siccitoso dell’inverno appena passato non è legato solo alla mancanza di precipitazioni, ma anche a un aumento di incendi invernali proprio nelle zone del nord Italia, Piemonte in testa. Infine, dobbiamo considerare anche la scarsissima stagione nevosa, con un 50% in meno rispetto all’annata 2020-2021, che fu piuttosto abbondante”.

Tra le aree in piena emergenza, spicca il bacino del Po, dove negli ultimi cinquant’anni, si è assistito (peraltro, con un notevole impatto visivo) al progressivo riaffiorare di merci, veicoli o rifiuti abbandonati nel letto del fiume. Qui, gli ultimi dati (inizio maggio) raccolti dall’Autorità di bacino distrettuale fanno rabbrividire: la sezione di Piacenza, per esempio, mostra una portata di 241 metri cubi al secondo con un deficit nel mese di aprile di -79%, mentre quella di Cremona è a -72%. “Nonostante gli ultimi eventi precipitativi – avverte l’Autorità – il deficit di portata rimane estremo in tutte le sezioni di misura. L’andamento delle portate osservate nel trimestre febbraio-marzo-aprile 2022 è risultato complessivamente confrontabile con l’andamento estivo medio del periodo giugno-luglio-agosto”.

Appaiono concordanti anche i dati a livello regionale diffusi dall’Associazione nazionale consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue. In base ad essi, infatti, nonostante lo scioglimento del manto nevoso, il Po rimane ai valori minimi, mentre in Piemonte calano i livelli dei principali fiumi con le portate di Pesio, Tanaro e Sesia addirittura dimezzate in sette giorni. In Lombardia, la neve attuale è circa il 62% per cento in meno di quella normalmente presente nel periodo, le portate del fiume Adda sono inferiori di oltre 200 metri cubi al secondo, rispetto allo stesso periodo estremamente siccitoso del 2017. Forte preoccupazione anche in Veneto, dove (secondo i rilievi dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente Veneto) i livelli del fiume Adige sono oltre mezzo metro inferiori al 2017, ma in alcuni punti si arriva a –1,70 metri rispetto all’anno scorso. Stessa situazione si registra per tutti gli altri fiumi della regione, principalmente per Brenta, Livenza e Piave. Scendono a livelli da piena estate anche le portate dei fiumi toscani, con Arno, Serchio e Ombrone che hanno affluenze più che dimezzate rispetto alla media di maggio.

Un’ulteriore conferma dei dati rilevati dal CNR giunge anche da un rapporto (redatto sempre ad aprile) del Joint Research Centre della Commissione Europea, intitolato “Drought in Europe”. Questo documento evidenzia come ad essere colpiti da una grave siccità non sia solo il bacino padano, ma anche il bacino idrico del Danubio, tanto che in questa regione si registrano problemi legati alla produzione idroelettrica, mentre nell’area mediterranea (Spagna e Italia) le colture sono già in stress idrico e potrebbero avere rese minori rispetto al passato. Il rapporto, poi, sottolinea come, assumendo come parametro di confronto la media che va dal 2009 al 2021, lo scorso inverno si sia avuto un deficit della copertura nevosa del 61% per quanto riguarda le Alpi italiane. “Queste analisi spiega Magno – ci dimostrano come il Mediterraneo sia un hot spot per quanto riguarda eventi estremi come la siccità. I nostri dati mostrano come dall’inizio del secolo questi eventi abbiano aumentato di frequenza. Dal 2000 a oggi ogni tre o quattro anni abbiamo avuto episodi intensi che hanno interessato più zone d’Italia”.

I danni conseguenti a questi cambiamenti riguardano non soltanto il settore energetico, ma soprattutto quello agricolo (oltre a settori correlati, come l’industria alimentare e i servizi all’ingrosso), tanto che le stime delle perdite economiche variano da 0,55 a 1,75 miliardi di euro, a seconda della gravità complessiva della siccità sperimentata. “La siccità – chiarisce ancora Magno – è uno degli elementi che fa parte del processo di desertificazione. Effettivamente si sta andando verso una perdita di fertilità del terreno a causa della concomitanza degli effetti climatici e della gestione non oculata del territorio”, sottolinea la ricercatrice. La siccità è subdola, parte in maniera lenta e quando poi si arriva agli impatti significa che il processo è iniziato ben prima”. E’ urgente, dunque, ripensare l’agricoltura, implementando sistemi di efficientamento delle irrigazioni, o selezionando varietà resistenti alla crisi idrica, oltre che a prevedere invasi per aumentare l’accumulo.

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Fonte: Sir