“La Linea del Colore”, Igiaba Scego racconta il diritto al viaggio

Nel suo ultimo romanzo, l'incontro di Leila, figlia di immigrati somali e curatrice d’arte, con l’arte di Lafanu Brown rievoca la storia della pittrice afroamericana, la schiavitù delle donne nere e la battaglia per la liberazione

“La Linea del Colore”, Igiaba Scego racconta il diritto al viaggio

L’incipit dell’ultimo romanzo di Igiaba Scego, “La Linea del Colore” (Bompiani 2020) è una piazza di Roma. L’episodio iniziale ci riporta nel 1887, all’indomani del massacro di Dògali, dove cinquecento soldati italiani vengono uccisi dalle truppe etiopi che cercano di contrastarne le mire espansionistiche. Ecco perché oggi quella piazza a Roma di fronte la stazione Termini si chiama Piazza dei Cinquecento. Roma non a caso è l’incipit. Lo scopriremo nel corso della lettura, Roma non è solo una grande città, attraversata da chi la ammira, la vuole abitare, vuol far crescere la propria arte, vuole condurre le proprie battaglie, personali e politiche insieme. Roma è un personaggio del libro che accoglie e ascolta le donne protagoniste del romanzo. Ma che potrebbe anche respingerle.

La scrittrice Igiaba Scego, già autrice di numerosi testi e romanzi dove indaga la sua città Roma e il rapporto col coloniale, ci porta in questo romanzo anche oltreoceano a raccontare la schiavitù delle donne nere e la battaglia per la liberazione tramite il viaggio di una donna.

Il romanzo è ambientato in due tempi, uniti da quest’unica figura: l’artista americana con origini africane e nativo-americane Lafanu Brown. La seconda metà dell’Ottocento, in cui le sue vicende hanno luogo, sono intervallate e accompagnate dalla vita di Leila, nel nostro presente, nel nostro tempo. Il percorso di ricerca di Leila, figlia di immigrati somali e curatrice d’arte, la porterà all’incontro con la biografia e l’arte di Lafanu Brown. Ispirata a due personaggi realmente esistiti, l’artista Edmonia Lewis e l’ostetrica Sarah Parker Remond, entrambe americane nere che vissero a Roma nella seconda metà dell’Ottocento, Lafanu vive il suo cammino verso la libertà in più forme, in un Ottocento che discriminava, violentava, il corpo nero. Ma l’incrocio storico-temporale e l’unione spirituale che unisce le due donne – Lafanu e Leila- ci parla soprattutto di una discriminazione che permane e talvolta prevale.

Oggi una delle forme di discriminazioni sui corpi neri si manifesta nella discriminazione di viaggio. Ed è così che tramite Leila, si ricordano al lettore i percorsi carichi di violenza che migliaia di persone sono costrette a fare per fuggire dalla guerra, dalla dittatura, nel desiderare di viaggiare, andare a trovare dei parenti, condurre una vita migliore, avere più possibilità. Unendo a questa spesso interrotta e violenta modalità di viaggio, il romanzo indaga un tempo in cui si poteva viaggiare e in cui l’Italia post-Unità inseguiva il sogno dell’imperialismo coloniale precedente il fascismo.

Questo libro è un invito schietto: da un lato a conoscere le storie di donne che nella letteratura così come nel mondo dell’arte sono state spesso dimenticate, e che ogni volta che le ricordiamo, ricordiamo a noi stesse, la potenza dell’universo femminile, rimasto inespresso o sconosciuto. Dall’altro a conoscere una storia, quella dell’Italia, anch’essa dimenticata e intrappolata in visioni binarie che mettono da parte le contraddizioni. Un invito incarnato dalla forza del romanzo che trascina ed emoziona. Nel 2021 verrà pubblicato negli Stati Uniti d’America dove il viaggio di Lafanu Brown è iniziato.

Marta Bellingreri

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)