La danza e il corpo con disabilità, “servono spazi di professionalizzazione e autonomia”

Stefania Di Paolo, dottoranda presso l’Università di Leeds, racconta come i danzatori disabili si stiano inserendo nel contesto culturale italiano, spingendo sempre più verso il riconoscimento della propria professionalità. “L’artista con disabilità può diventare una spinta per ripensare all’intero sistema di produzione e fruizione dell’opera d’arte in un senso più inclusivo”

La danza e il corpo con disabilità, “servono spazi di professionalizzazione e autonomia”

“La danza è un linguaggio corporeo: la presenza di un corpo o di una mente con disabilità sul palco rompe molti stereotipi rispetto a chi è un danzatore e chi può legittimamente fare danza. In Italia, la questione del riconoscimento della professionalità del danzatore disabile è sicuramente più recente che in altri paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Quando si pensa alla danza e disabilità, spesso si considera l'aspetto terapeutico, dove la persona disabile è vista come un paziente, mentre molti artisti e artiste con disabilità stanno acquisendo visibilità e riconoscimenti come professionisti dello spettacolo dal vivo”. A parlare è Stefania Di Paolo, ricercatrice presso l’Università di Leeds, dove sta svolgendo un dottorato proprio sul tema della danza e la disabilità. Un tema ancora poco conosciuto in Italia, che però al di là del Canale della Manica è ampiamente indagato da studiosi e esperti.

“In Gran Bretagna, il movimento per i diritti della disabilità è una realtà solida sin dagli anni Settanta, e sia il mondo dell’attivismo che quello accademico hanno un’attenzione molto alta sul rapporto tra le arti performative e i processi disabilizzanti della nostra società – spiega Di Paolo, che anche lei ha una disabilità fisica dovuta a un incidente stradale –. Anche in televisione, o nei teatri, la rappresentanza degli artisti disabili è molto più diffusa che in Italia. Il British Council ha messo in piedi diverse iniziative per promuovere l’inserimento degli artisti con disabilità nel mercato del lavoro, e diversi istituti come il Northern Ballet stanno avviando corsi di formazione per danzatori disabili: sono tante le associazioni che si occupano di professionalizzazione delle arti performative per le persone con disabilità. In Italia, la situazione si sta evolvendo e ci sono esempi notevoli di inclusione in questo senso, soprattutto per quanto riguarda il mondo dei festival, ma ancora servono spazi e processi diffusi di professionalizzazione delle persone con disabilità nel settore e una riflessione condivisa che consideri i lavoratori dello spettacolo con disabilità degli interlocutori essenziali in tutti i settori della cultura”.

Per parlare di nuove sfide e sperimentazioni, durante il primo lockdown Stefania Di Paolo si è inventata la piattaforma Talkwithdance, che su Facebook e Instagram offre ad artisti, operatori e istituzioni dello spettacolo uno spazio di dialogo e autoriflessione, in particolare centrato sulla danza contemporanea e l’inclusività. Nel nostro paese, tra le iniziative più all’avanguardia c’è il Festival di danza contemporanea Oriente Occidente di Rovereto, che ha avviato un tavolo di lavoro proprio sull’inclusione di danzatori e danzatrici con disabilità. Dal festival è nato il gruppo Al Di Qua Artists, composto da artisti e lavoratori con disabilità del mondo dello spettacolo, nato spontaneamente su Zoom durante il lockdown. Esiste poi la Compagnia Fuori Contesto di Roma, una compagnia mista di persone con e senza disabilità, che ha messo in piedi in festival Fuori Posto, per indagare la questione dell’inclusione sociale delle persone con disabilità, e Dance Well, iniziativa del Comune di Bassano del Grappa che ha messo insieme una comunità di performer tutti affetti da Parkinson, in un’ottica non di danza terapia ma di pratica artistica. E per quanto riguarda la comunità Sorda, il Festival del Silenzio di Milano porta all’attenzione di un pubblico misto le potenzialità dell’arte Sorda nel teatro e nelle arti performative, utilizzando la lingua dei segni come strumento espressivo.

“Artisti disabili stanno conquistando visibilità in molti festival italiani, non solo dedicati alla disabilità – racconta Di Paolo –. Non bisogna però commettere l’errore di pensare all’artista con disabilità come ad un ospite da invitare come se fosse un ‘estraneo’, da inserire in un contesto altro da lui o lei. Al contrario, questa presenza legittima può diventare una spinta per modificare il contesto stesso e ripensare l’intero sistema di produzione e fruizione dell’opera d’arte in una direzione più inclusiva. Bisogna sensibilizzare e formare gli operatori culturali in questo senso. La disabilità, tra i vari tipi di discriminazione, è particolare perché è una condizione potenziale di ogni individuo: tutti noi, a un certo punto della vita, potremmo sperimentarla. Ecco allora che la disabilità mette in crisi il modo in cui organizziamo la società, e ci mostra la direzione in cui dovremmo andare: quella del rispetto fondamentale della persona, nella sua identità di essere umano e di professionista”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)