La forza della fede, dell’arte, dell’azione. La segnalazione mensile di critica letteraria

Rino Fisichella, Alessandro Zaccuri e Dino Pirri per i tre libri del mese.

La forza della fede, dell’arte, dell’azione. La segnalazione mensile di critica letteraria

L’amore di Gesù, esemplato nella lavanda dei piedi agli apostoli è l’esempio più pregnante, perché “così inatteso, così straordinario”, di ciò che significa oggi l’impegno sacerdotale, non solo nella comunione ecclesiale, e non è a caso che Rino Fisichella la ponga in apertura del suo recente “Il pane della vita. Eucaristia e sacerdozio”. Perché non si tratta solo di conoscere la dottrina e saperla sapientemente divulgarla, né di organizzare il rito secondo modalità moderne e più o meno spettacolari, ma di porre anche oggi l’amore verso l’altro al primo posto dell’osservanza della Parola. Fisichella mette bene in rilievo alcuni dei rischi dell’essere credente in questi tempi di velocità acritica: la tentazione all’isolamento, lontani dalle città tentacolari, per rinchiudersi nella mistica autoreferenziale o, all’opposto, il riversarsi radicalmente nell’impegno senza però tener conto della condivisione della Parola, che è comunitaria; l’attrazione verso la teoria, lo studio, l’approfondimento, che purtroppo talvolta porta all’auto-emarginazione e al fallimento del rapporto con i fedeli. Da qui nasce il libro: aiutare a comprendere i tempi senza diventarne sudditi, rimanendo fedeli all’insegnamento di Cristo che ha più volte sottolineato l’importanza della comunione fattiva verso l’altro.
Il confronto con il tempo della virtualità e della contemporaneità impone sempre e comunque il rapporto con la tradizione evangelica, ma anche la capacità di agire e di sentire, non per barcamenarsi dignitosamente o per darsi una patina d’attualità, ma per meglio aiutare gli altri nella testimonianza cristiana. Un compito difficile nell’epoca digitale, dove tutto sembra collegato ad una effimera bellezza che lascia poi il posto alla delusione e all’emarginazione, causa a sua volta di alienazione e di violenza sostitutiva apparentemente gratuita. Quello che conta, scrive l’autore, è il richiamo alla “piena donazione che Cristo fa di sé senza alcuna pretesa di poter ricevere un contraccambio”, che rende il cristiano, il fedele, il diacono, il vescovo riconoscibili sempre, nell’impermanenza del proprio tempo e nella vera bellezza – dimensione cui giustamente Fisichella dedica alcune pagine – dell’incontro profondo e divino con l’altro che soffre e che tuttavia spera nella Parola incarnata dal fratello che si accorge di quel dolore.
Rino Fisichella, “Il pane della vita. Eucarestia e sacerdozio”, San Paolo, 2021, 284 pagine, 25 euro.

La presenza inquietante ma affascinante dell’altro è una dimensione apparentemente moderna, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento (il “Dottor Jekyll e mr. Hyde” di Stevenson è del 1886, mentre “Le memorie del sottosuolo” di Dostoevskij aveva visto la luce, se si può parlare di luce per questo racconto, vent’anni prima), anche se il doppio, sotto forma di sosia o gemello aveva fatto la sua apparizione nel romanzo ellenistico. L’altro è però anche lo sguardo ironico e demistificatorio su ogni cosa, l’altezza di chi pensa di aver tutto compreso e che tutto giudica non più solo coscientemente, ma perché l’orgoglio sfrenato ha preso le redini della sua vita, facendo apparire ogni cosa svuotata di senso, come avviene a molti personaggi novecenteschi, dall’ “Uomo senza qualità” di Musil a “Il cimitero di Praga” di Umberto Eco. Anche in “La quercia di Bruegel”, nuova prova narrativa di Alessandro Zaccuri, il ghigno beffardo di chi tutto ormai crede di sapere è una delle dimensioni del racconto: se non che l’incontro con l’altro diviene salutare caduta dalle altezze della Hybris: una neurologa sembra quasi attendere il protagonista dai molti volti -le varie firme con le quali, come un contemporaneo Pessoa, lui “abita” un mercato votato ai trend e non alla bellezza- in una Bruxelles assediata dall’orrore degli attentati del 2016. Ambedue si trovano a studiare un quadro di Pieter Bruegel il Vecchio. L’inizio della antica-moderna Cerca distoglie l’uomo dall’ipnosi del ghigno demolitore e lo pone di fronte ad una apparente contraddizione, perché quella ricerca dell’oggetto magico nasce dalla malattia, dall’apparente disagio psichico di un paziente che in “L’adorazione dei Magi” di Bruegel vede solo un particolare apparentemente insignificante, e che invece rivela un modo nuovo di guardare il mondo.
Zaccuri ha il merito di non scambiare l’arte del racconto con le spiegazioni, anche quelle profonde, merito ancor più sorprendente in un critico letterario. Perché la tentazione sarebbe stata quella di andare narrativamente alle fonti di tutto questo, dal Giardino e dall’elogio dei piccoli del Cristo fino alla riappropriazione pascoliana del piccolo apparentemente insignificante fiore ai margini della strada. La cessazione dell’autoreferenzialità e la messa in discussione dell’antico sé rimettendosi alla ricerca di senso grazie alla periferia dell’intelletto d’occidente è uno dei punti di forza di questo incontro tra arte, natura e comprensione profonda, a costo di rinunciare alle antiche certezze, dell’altro.
Alessandro Zaccuri, “La quercia di Bruegel”, Aboca, 2021, 168 pagine, 15 euro.

Il sogno di papa Francesco di una chiesa “madre e pastora”, che si faccia “carico delle persone accompagnandole come il buon Samaritano” è anche il sogno scritto di Dino Pirri, parroco a Grottammare, già assistente nazionale dei ragazzi di Ac e assistente Agesci. La sua esperienza di compagno di strada di tanta gente si avverte molto nel suo “Lo strano caso del buon Samaritano”: è un libro che va dritto alla cosa, senza preamboli, a partire dall’esempio da cui parte per narrare la lunga e tosta strada della prossimità a chi soffre o ha bisogno di un po’ di compagnia, quello appunto del poveretto di cui parla Luca nel suo Vangelo picchiato, derubato e soccorso non da chi ti aspetteresti ma dall’eretico di allora. È una lezione piuttosto severa, che si confronta criticamente – il che non vuol dire negativamente – con i progetti a cadenze precise, con l’ordine ossessivo, con le programmazioni che non tengono conto dell’essenziale: il nostro essere donne e uomini soggetti al dolore, alla sofferenza, ai fallimenti che, ce lo ha genialmente ricordato Battiato, per nostra natura normalmente attireremo. Questo vale anche e soprattutto per i ministri della Chiesa, “che devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone”: perché è questo il nucleo fondante la Chiesa di oggi. Pirri mette in evidenza come le sorti magnifiche e progressive dell’umanità, il materialismo, il razionalismo esasperato non abbiano portato alla tanto sbandierata felicità, anzi. Solitudine, ansia, droghe, depressione sono solo alcune delle parole-simbolo del nuovo mondo. Ci eravamo illusi che la casa con giardino, la bella macchina, la vacanza ai Tropici ci avrebbero consegnato la felicità assieme alle chiavi di casa e di auto. Quello che manca è il gratis, due chiacchiere, la condivisione, perché se non ci sei passato per la sofferenza è difficile che tu possa capirla negli altri, quello che manca è comprendere che il mio aiuto serve adesso qui, per questo sconosciuto che ha bisogno di confidare le sue pene, e non esclusivamente nei programmi di parrocchia o di associazione, che pure hanno la loro utilità. E’ il cuore a dover tornare al centro della nuova era del Samaritano, non le cose o i numeri.
Dino Pirri, “Lo strano caso del buon Samaritano”, Rizzoli, 2021, 248 pagine, 16 euro.

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Fonte: Sir