La natura non è più incontaminata. Secondo una ricerca risulta che degli habitat di tutte le terre del pianeta, appena il 3% è "intatto"

Il quadro descritto non è certo dei più rosei e getta pesanti ombre sul futuro ambientale del nostro pianeta.

La natura non è più incontaminata. Secondo una ricerca risulta che degli habitat di tutte le terre del pianeta, appena il 3% è "intatto"

“Non inquinare, i pianeti buoni sono difficili da trovare!” ammonisce l’aforisma di un anonimo contemporaneo. Una raccomandazione che, a quanto pare, rimane ampiamente disattesa. Il secolare mito della “natura incontaminata”, infatti, dati statistici alla mano, sembra destinato a scomparire dal nostro pianeta. E’ questo il triste scenario che ci consegna una nuova ricerca, in base alla quale risulta che, degli habitat naturali di tutte le terre emerse del pianeta, appena il 3% sia ancora “intatto”, vale a dire una percentuale circa dieci volte inferiore a quanto stimato in precedenti studi negli ultimi vent’anni. La ricerca (pubblicata su “Frontiers in Forests and Global Change”) è stata condotta da Andrew Plumptre, del Key Biodiversity Areas Secretariat di Cambridge (UK), insieme ai colleghi di una collaborazione internazionale.

Ma cosa intendiamo esattamente con “habitat naturale intatto”? In realtà, nonostante l’abbondanza crescente di studi sulla conservazione ambientale, i ricercatori non sono ancora riusciti a giungere ad una definizione unanimamente condivisa. Di sicuro, molte ricerche sul tema degli anni passati hanno assunto come parametro di riferimento l’influenza delle attività umane sull’integrità dell’habitat; in base a questo tipo di misurazione, emerge una ridotta percentuale – variabile tra il 20% e il 40% – della superficie terrestre del pianeta ancora libera da insediamenti umani, strade e inquinamento luminoso e acustico. Il nuovo studio, invece, ha scelto di adottare un approccio più approfondito e articolato; gli autori, infatti, hanno provato a stimare quante regioni nel mondo conservano ancora siti qualificabili come “Key Biodiversity Areas” (KBA), ovvero le aree del pianeta più importanti in termini di biodiversità, in base alla definizione dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN).

Uno dei principali criteri per identificare le KBA afferma che una comunità ecologica può essere considerata “intatta” se al suo interno vivono ancora tutte le specie originarie, rappresentate da popolazioni ugualmente numerose rispetto ai valori iniziali. Il riferimento temporale che i ricercatori hanno deciso di assumere è stato l’anno 1500 d.C., lo stesso usato dall’IUCN per stimare le estinzioni degli animali compresi nella lista rossa delle specie minacciate.
Oltre all’integrità dell’habitat in generale, gli autori dello studio hanno anche voluto valutare l’integrità faunistica, cioè la perdita di specie animali, insieme all’integrità funzionale, parametro quest’ultimo che consente di verificare che la perdita di densità delle specie non scenda sotto un livello tale da influenzare il sano funzionamento di un ecosistema.
Basandosi su questi tre parametri, dunque, Plumptre e colleghi hanno incrociato le informazioni contenute in tre diversi database, scoprendo così che solo il 2-3% delle terre emerse soddisfa i criteri di integrità dell’IUCN. Inoltre, solo l’11% per cento delle aree ancora funzionalmente intatte si trova all’interno di aree protette. In genere, si tratta di aree gestite dalle comunità indigene – che giocano un ruolo importante nella loro conservazione – come la Siberia orientale e il Canada settentrionale (biomi boreale e della tundra), parti delle foreste tropicali dell’Amazzonia e del bacino del Congo, oltre al deserto del Sahara.

Il quadro descritto non è certo dei più rosei e getta pesanti ombre sul futuro ambientale del nostro pianeta. Ma i ricercatori, nonostante tutto, esprimono anche motivi di speranza. “I risultati – afferma infatti Plumptre – mostrano che sarebbe possibile aumentare le aree ancora integre dal punto di vista ecologico fino al 20% attraverso reintroduzioni mirate di specie che sono andate perdute in aree dove l’impatto umano è ancora basso, a condizione che le minacce alla loro sopravvivenza possano essere affrontate e la loro numerosità ricostituita a un livello tale da soddisfare il loro ruolo funzionale”.
Uniamo la nostra fiducia alla sua, nella speranza che chi ha la responsabilità, nei vari Paesi, ascolti quest’accorata raccomandazione e intervenga al più presto con provvedimenti concreti ed efficaci. Il tempo stringe!

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Fonte: Sir