La trasmissione d’infezioni tra gorilla e il distanziamento sociale. L'interazione sociale gioca un ruolo fondamentale nel contagio

L’approfondita disamina dei dati raccolti ha messo in evidenza come lo stretto contatto e le forti relazioni sociali tra i membri di ciascun gruppo rendessero estremamente rapida la diffusione di malattie respiratorie.

La trasmissione d’infezioni tra gorilla e il distanziamento sociale. L'interazione sociale gioca un ruolo fondamentale nel contagio

Dall’inizio della pandemia da COVID-19, e soprattutto nei momenti più critici della diffusione del virus, le autorità competenti ci hanno costantemente richiamato ad adottare il più efficace (ma, nel tempo, anche “più insopportabile”) comportamento per evitare il contagio: il famigerato “distanziamento sociale”. Se non si sta vicino agli altri, neanche ci si infetta a vicenda. Una regola di trasparente evidenza, che non riguarda solo il covid-19, né soltanto gli esseri umani.

Consideriamo, ad esempio, le grandi scimmie, ovvero gli animali che, essendo evolutivamente più vicini agli esseri umani, ne condividono anche la suscettibilità a contrarre svariate malattie. Ma, talvolta, con un’aggravante: mentre molte infezioni respiratorie, come l’influenza e il raffreddore, risultano in genere banali per il nostro organismo, per le scimmie possono essere letali molto più di frequente. E anche per loro, l’interazione sociale gioca un ruolo fondamentale nella trasmissione di tali malattie. Lo evidenzia un recente studio (pubblicato su “Scientific Report”) condotto da un gruppo di ricercatori del Dian Fossey Gorilla Fund International, coordinati da Robin E. Morrison. Più precisamente, la ricerca mostra come tra i gorilla di montagna selvatici, tosse e raffreddore si diffondono rapidamente all’interno di ciascun gruppo, mentre sembrano avere meno probabilità di diffondersi tra gruppi vicini. Un risultato, questo, che, se messo a confronto con quanto già emerso nel caso degli scimpanzé, potrà risultare di grande utilità nell’approntare le future strategie di conservazione faunistica.

In concreto, gli studiosi coinvolti hanno esaminato 15 focolai di infezioni respiratorie, durante gli ultimi 17 anni, tra i gorilla di montagna nel Volcanoes National Park, in Rwanda. L’approfondita disamina dei dati raccolti ha messo in evidenza come lo stretto contatto e le forti relazioni sociali tra i membri di ciascun gruppo rendessero estremamente rapida la diffusione di malattie respiratorie. Ad esempio, in uno di questi focolai, sono bastati tre giorni affinché 45 dei 46 membri del gruppo iniziassero a tossire. Né era stato possibile prevedere la diffusione dell’infezione sulla base della conoscenza delle gerarchie sociali del gruppo.

Tali risultati sono molto differenti da quelli di uno studio precedente condotto sugli scimpanzé, per i quali l’organizzazione sociale più diffusa della società ha causato una trasmissione complessiva più lenta, permettendo così ai ricercatori di prevedere la diffusione della malattia in base alla rete sociale degli esemplari. “Se possiamo capire meglio come le malattie si sono diffuse in passato – spiega Robin Morrison -, possiamo prepararci meglio e rispondere alle epidemie del futuro”.

Dallo studio sui gorilla è emerso anche che il contagio tra gruppi diversi era limitato. “I focolai che abbiamo studiato – spiega Yvonne Mushimiyimana, coautrice del progetto – sembravano rimanere tutti all’interno di un singolo gruppo invece che diffondersi in una popolazione più ampia. I gruppi di gorilla interagiscono abbastanza di rado, e quando lo fanno, tendono a mantenere le distanze, avvicinandosi raramente a uno-due metri di distanza”. Dunque, ancora una volta, il distanziamento fisico (“distanziamento sociale”) tra diversi gruppi di gorilla gioca un ruolo protettivo per la loro salute. Rimane comunque da spiegare quale possa essere l’origine dei focolai di queste infezioni respiratorie. Certo è che precedenti studi condotti in passato su scimmie selvatiche in Uganda hanno mostrato che all’origine dei focolai vi erano agenti patogeni… di origine umana, e che focolai diversi possono generarsi da patogeni tra loro indipendenti, ma sempre trasmessi da esseri umani.

L’ipotesi più semplice, quindi, è che, anche nel caso dei gorilla di montagna, siano stati contatti con umani a ingenerare le infezioni; risulta, dunque, fondamentale mettere in atto ogni mezzo per impedire il primo contagio da uomo a scimmia. “Tutto questo – conclude Morrison – sottolinea l’importanza degli sforzi in corso per ridurre al minimo l’esposizione delle grandi scimmie selvatiche alle malattie umane durante attività come la ricerca, il turismo e la protezione. La vaccinazione, l’uso della maschera e il mantenimento di una distanza adeguata sono più importanti che mai nel mezzo di una pandemia globale”.

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Fonte: Sir