Lavoratrici domestiche, Acli: “In molte hanno persona casa e lavoro in un colpo solo”

A parlare è Filippo Diaco, Presidente delle Acli provinciali di Bologna. Tra licenziamenti in contumacia, confusione sulle regole da rispettare al rientro, spese da sostenere, la situazione delle assistenti domestiche nel post-Covid è drammatica. “Siano riconosciuto come figure professionali”

Lavoratrici domestiche, Acli: “In molte hanno persona casa e lavoro in un colpo solo”

Ogni anno le Acli Provinciali di Bologna gestiscono più di 3 mila contratti di lavoratori domestici. Si tratta per lo più di donne (al 90 per cento), la metà delle quali provenienti dall’est Europa. La stragrande maggioranza ha più di 65 anni. “Questo dato comporta che esse stesse siano in un’età a rischio di gravi conseguenze, qualora dovessero contrarre il Covid-19, in pratica quanto i loro stessi datori di lavoro, cioè gli anziani che assistono – spiega Filippo Diaco, Presidente delle Acli provinciali di Bologna –. Questa situazione le rende vulnerabili, al di là della pandemia. Sono donne fragili, bisognose di misure di welfare, sempre più soggette a infortuni sul lavoro e necessitanti di assistenza sanitaria”.

Bloccate all’estero dal lockdown

Nei loro Paesi di origine hanno lasciato figli e nipoti, che mantengono agli studi con il lavoro in Italia. Quelle che erano partite per le ferie a febbraio (parliamo di diverse assistenti familiari, perché in molti Paesi dell’est è prevista la chiusura delle scuole per una o due settimane anche tra febbraio e marzo) si sono ritrovate bloccate dal lockdown. “Non solo – continua Diaco –: all’inizio c’era enorme confusione su cosa dovessero e potessero fare al rientro in Italia. Quasi tutte hanno la residenza a casa dell’anziano che assistono e comunque erano autorizzate a fare rientro nel luogo di lavoro. Ma era ovviamente impensabile che potessero trascorrere la quarantena in queste condizioni, mettendo a repentaglio la salute, se non la vita, dei datori di lavoro”.

I licenziamenti in contumacia

Già alle prime telefonate di lavoratrici domestiche e datori di lavoro che chiamavano per avere chiarimenti, le Acli hanno denunciato il fatto. “Abbiamo chiamato diverse volte l’Asl, la Protezione Civile e dopo alcuni giorni siamo riusciti a farci rispondere dapprima con l’elenco delle strutture allestite per chi doveva trascorrere la quarantena in sicurezza, secondariamente con l’indicazione che il diretto interessato dovesse provvedere di tasca propria alle spese per il soggiorno. All’epoca – parliamo di fine aprile – era solo un ‘consiglio’ il fatto che, per loro, potesse pagare il datore di lavoro. Inutile dire che nessun datore di lavoro voleva o era in grado di affrontare questa spesa. Sappiamo bene che il lavoratore domestico può essere licenziato senza giusta causa o giustificato motivo, con il solo il preavviso di legge. Infatti quasi tutti hanno optato per questa soluzione. In alcuni casi la badante è stata sostituita, poi riassunta”. Il Patronato Acli a marzo, aprile e maggio ha fatto un centinaio di assunzioni e un numero pari di licenziamenti. Le assunzioni sono state del 15 per cento inferiori rispetto al 2019. “Senz’altro ha influito molto su questo dato il fatto che figli e parenti degli anziani assistiti lavorassero da remoto, o addirittura avessero perso il lavoro. Molte badanti, rientrando dall’estero – una ventina al mese solo tra quelle contrattualizzate da Acli –, si sono così trovate in un colpo solo senza casa e senza lavoro”, denuncia Diaco.

Elsa in dormitorio, Irina senza casa né lavoro

È il caso di Elsa, che è finita al dormitorio e attualmente è seguita da Acli e da un’altra associazione che si occupa di donne fragili, perché ha perso tutto dall’oggi al domani. E c’è anche Irina, moldava. Sua mamma si è ammalata a febbraio, a giugno era praticamente in fin di vita, ha aspettato con ansia la fine del lockdown per tornare a casa da lei e accompagnarla nei suoi ultimi giorni. Aveva un volo prenotato per il ritorno ma è stato spostato, poi cancellato. È successo più volte e alle fine ha pensato di affrontare il viaggio il pullman ma, al momento di comunicarlo alla datrice di lavoro, la sorpresa: era stata licenziata in contumacia. A forza di rimandare il rientro, le era stata preferita la collega che l’aveva sostituita. Dovendo poi rientrare con mezzi precari ed improvvisati, i parenti dell’anziana erano timorosi e non volevano affrontare le spese per la quarantena. “Ora la Regione ha confermato che queste spese sono a carico del datore di lavoro. La scelta dimostra che non è sufficientemente noto alle istituzioni il complesso e delicato mondo del lavoro domestico”, evidenzia Diaco.

Formazione: nessun accreditamento, nessun albo

E non è tutto. “Non è accettabile che i datori di lavoro non abbiamo alcun beneficio economico per l’assunzione di una badante. Godono solo di un modesto sgravio fiscale sui contributi Inps, misura ampiamente insufficiente. Eppure, se optassero per il ricovero in rsa avrebbero un contributo pubblico pari, se non superiore, alla spesa per la badante. Non ne comprendiamo la ratio. Abbiamo visto cosa è successo nelle rsa: senza voler addossare colpe, le badanti stesse sono state reclutate per accudire gli anziani ricoverati, quando infermieri e oss sono stati decimati dalla pandemia. Hanno svolto bene il loro lavoro e accudito con successo gli anziani. Eppure, la loro professione non è considerata sanitaria. Non ne hanno i benefici, non li hanno avuti durane la pandemia ma, cosa più grave, non potranno mai averli se non ci sarà un riconoscimento formale della loro professionalità”. Ad oggi i corsi per badanti, che tengono anche le Acli, non ricevono accreditamento regionale come avviene, invece, per altre professioni socio-sanitarie. Non c’è un albo specifico né esiste una qualifica professionale associata. “Questa lacuna fa sì non solo che le mansioni contrattuali siano l’unica traccia disponibile per regolamentare la loro attività, ma anche che si viva un rischio perenne di abusi, dal lavoro nero a quello ‘grigio’. 
Finché la professione non raggiungerà un suo status riconosciuto, nell’ambito socio-sanitario, la situazione sarà sempre precaria. Il rischio è anche del datore di lavoro, che deve affidarsi solo al sistema informale della raccolta di ‘referenze’, più o meno affidabili, per decidere dell’assunzione”.

A Bologna 100 domande di sanatoria

A oggi lo Sportello immigrati delle Acli ha accolto un centinaio di domande di sanatoria di assistenti personali. “Poche rispetto al sommerso di cui abbiamo percezione, tante se si pensa alla gravità della situazione di queste lavoratrici. In generale, la richiesta di badanti è crescente e non solo non è sufficiente l’offerta, ma le lavoratrici disponibili sono spesso improvvisate e prive di competenze. Soprattutto, faticano a trovare aiuto domestico gli anziani che vivono in territori periferici, ad esempio in Appennino. Eppure, tutta l’area metropolitana di Bologna invecchia a ritmi velocissimi. La nostra è una delle città più anziane di Italia. Metà dei nuclei familiari è composto da una sola persona e per la gran parte parliamo di donne sole e over 65. La vita si è allungata, ma non è migliorata la qualità di essa. Sono ragionamenti che vanno affrontati dalla politica, anche a livello locale, con urgenza estrema”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)