Le conseguenze della pandemia sul terzo settore? Un’indagine per misurarle

“Impatto del Covid-19 sul terzo settore bolognese” è la nuova ricerca rivolta ad associazioni, cooperative e imprese sociali per valutare l'impatto sui progetti. Brugnara (Euribia): “Per capire come ripartire abbiamo bisogno di dati reali”

Le conseguenze della pandemia sul terzo settore? Un’indagine per misurarle

Quali sono state le ripercussioni della pandemia sul terzo settore? Che difficoltà hanno dovuto affrontare operatori e volontari? E come si stanno modificando i servizi sul territorio? A queste domande vuole rispondere l’indagine Impatto del Covid-19 sul terzo settore bolognese, lanciata dalla Fondazione per l’Innovazione Urbana nell’abito di “R-innovare la città, l’osservatorio di approfondimento sulle conseguenze dell’emergenza coronavirus sul territorio metropolitano di Bologna. Si tratta di una ricerca rivolta a tutte le realtà del terzo settore e del non profit, realizzato insieme a Università di Bologna, Aiccon (Centro Studi Non Profit e Cooperazione) e Forum del terzo settore di Bologna, con la collaborazione di Volabo ed Euribia, con l’obiettivo di indagare l’impatto della pandemia di Covid-19 e pianificare la ripartenza.

“A causa dell’emergenza sanitaria, ci sono tante realtà del non-profit che stanno attraversando una difficoltà oggettiva: pensiamo al mondo sportivo, al mondo culturale, a tutte le attività educative – commenta Stefano Brugnara, presidente dell’associazione Euribia –. Tante di queste organizzazioni si basano sull’autofinanziamento: è evidente allora quanto l’impatto possa essere stato forte. Ma per capire come ricominciare e come immaginare politiche di welfare in cui il terzo settore sia protagonista, abbiamo bisogno di misurare il reale impatto della pandemia e partire da dati reali: ecco perché abbiamo lanciato questa indagine, rivolta non solo a associazioni e cooperative, ma anche a comitati, gruppi informali e a tutti i soggetti del non-profit che operano sul territorio. Vogliamo scattare una fotografia per renderci tutti consapevoli di uno stato di fatto”. 

Per realizzare l’indagine, supportata scientificamente dai ricercatori del Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’Università di Bologna e da Aiccon (Centro Studi Non Profit e Cooperazione), è stato strutturato un questionario diviso in 5 sezioni, ognuna delle quali approfondisce un determinato ambito.

La prima sezione serve per conoscere le informazioni di base dell’organizzazione e i suoi principali ambiti di azione, mentre la seconda analizza i servizi e i progetti: “Vogliamo capire cosa si faceva prima e cosa è cambiato a seguito della pandemia: quali progetti sono stati chiusi, quali si sono trasformati e quali sono nati proprio in questo periodo, in risposta ai nuovi bisogni emersi – spiega Brugnara –. Il questionario serve anche a sondare la capacità di adattamento delle organizzazioni: non è un’indagine pensata per celebrare l’autocommiserazione del terzo settore, l’intento è veramente quello di capire qual è lo stato delle cose”.

La terza sezione approfondisce gli aspetti di natura economica e finanziaria, per rilevare eventuali conseguenze della crisi e capire quanto si siano modificati i ricavi. Nella quarta sezione ci si concentra invece sull’impatto della pandemia sui lavoratori del terzo settore e delle realtà di cittadinanza attiva, oltre che sui volontari: com’è cambiato il loro lavoro? Che ripercussioni ci sono state, a livello professionale ma anche personale? Infine, nella quinta sezione il questionario si chiude con una domanda aperta: quali azioni dovrebbe intraprendere la pubblica amministrazione per sostenere il terzo settore?

“Certo, la prima cosa che viene in mente è che gli enti del terzo settore hanno bisogno di un supporto economico, ma non è detto che questa sia l’unica necessità – commenta Brugnara –. Attraverso la co-programmazione e la co-progettazione, le realtà possono interagire con l’istituzione in modo più dinamico e paritario, partendo da una lettura del bisogno condivisa. L’ultima domanda, poi, è un invito alle organizzazioni a riflettere su se stesse: la crisi ha prodotto la necessità di competenze nuove o diverse nelle organizzazioni no profit?”

Che la pandemia sia stata un momento spartiacque, insomma, non è in discussione. E allora, che cosa valorizzare di questo periodo, e che cosa superare? “Non si può pensare che a un certo punto tutto torni come prima e si ricominci nella stessa maniera – conclude Brugnara –. Strumenti come questa indagine servono per capire come supportare questo processo di cambiamento che ci sarà in ogni caso, nella maniera migliore possibile. Da quando è scoppiata l’emergenza sanitaria, il terzo settore ha dato una prova di sé notevole: sono nati tanti nuovi progetti, ad esempio di consegna a domicilio della spesa, di aiuto alle persone sole, e ora di supporto alle vaccinazioni. 
Eppure, allo stesso tempo, il terzo settore è stato anche vittima di questa contingenza, e molte associazioni non possono svolgere le loro attività. Bisogna allora ricostruire delle prospettive di sviluppo, partendo dall’assunto che il terzo settore sia parte integrante della struttura democratica di questo paese. Ed è fondamentale che sia messo in condizioni di operare in maniera efficace ed efficiente”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)