Le donne nella cultura mafiosa: il dominio sui corpi va di pari passo con il dominio del territorio

Ancora molte disuguaglianze e violenza di genere nella società e nelle organizzazioni mafiose: lo ha evidenziato un incontro promosso dal centro Pio La Torre. Oltre 435 le scuole che, insieme ad alcuni istituti carcerari, che hanno seguito la videoconferenza

Le donne nella cultura mafiosa: il dominio sui corpi va di pari passo con il dominio del territorio

“Le disuguaglianze di genere e la pratica della violenza nella società civile e nelle organizzazioni mafiose” è stato il tema della terza videoconferenza del progetto educativo antimafia e antiviolenza organizzato dal Centro Studi Pio La Torre. A parlarne sono state: Alessandra Dino sociologa dell'Università di Palermo, Sabrina Garofalo del Centro di Women's Studies 'Milly Villa' dell’Università della Calabria e Beatrice Pasciuta, pro-rettrice dell'ateneo palermitano con delega alla Inclusione, pari opportunità e politiche di genere. A moderare l'incontro il presidente del centro, Vito Lo Monaco.

Sono state oltre 435 le scuole collegate in videoconferenza, comprese alcune carceri di Nord a Sud Italia. Numerose sono state le domande degli studenti sulla necessità di introdurre a scuola l'educazione sentimentale, sul permanere degli stereotipi di genere, sul linguaggio e lo scarso numero dei centri antiviolenza su tutto il territorio.

“Dall'ultimo report della Polizia di Stato emerge come la Sicilia sia la prima regione dove si registrano più violazioni dei divieti di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima di violenza - ha detto Alessandra Dino, sociologa dell'Università di Palermo - e sia la seconda regione per reati legati al cosiddetto 'revenge porn', ovvero la diffusione illecita di video e immagini sessualmente espliciti. A lungo il nostro diritto penale è stato sessista, trattando uomini e donne in maniera diversa. Il reato di stalking è stato introdotto nel 2009 mentre la legge contro la violenza femminile che introduce nuove disposizioni come il divieto di avvicinamento alla dimora della persona offesa è del 2013”.
“Tra i Paesi europei l'Italia è terzultima per numero di omicidi femminili. La violenza di genere non è un problema privato o soltanto femminile ma sociale - continua Alessandra Dino - perché ha a che fare con le violazioni dei diritti umani, come ratificato dalla Convenzione di Istanbul. Inoltre, la gelosia è spesso considerata un elemento plausibile per non dare le aggravanti per 'futili e abietti motivi', al contrario di quando il delitto viene commesso per ragioni economiche”.

Il giornalismo ha anche la sua responsabilità. C'è una retorica che porta alla de-responsabilizzazione dell'assassino e una rappresentazione distorta della realtà: fa più notizia l'uccisione di una donna giovane, con il 38% di articoli a fronte di un 4,8% di casi che hanno riguardato donne tra i 10 e i 16 anni, mentre quando le vittime hanno un'età che va da 40 a 59 anni queste sono sottorappresentate con il 12,8% di articoli. L'omicidio di una donna anziana non fa notizia, come quello di una straniera a opera di uno straniero, al contrario uno straniero che uccide un'italiana fa molta più notizia. Nel 92% dei casi le donne sono uccise da una persona conosciuta. Si parla erroneamente di 'raptus' e di uomini con patologie psichiche ma solo nell'8% dei casi c'è una diagnosi di psicosi grave, raccontando così come episodica una violenza che in realtà è nella maggior parte dei casi sistemica e commessa da uomini normali che non hanno precedenti penali.

Poi c’è il contesto mafioso, che è pieno di violenze di genere che annullano completamente la donna. “C'è questa necessità di annullare i corpi femminili nei contesti di tipo mafioso - ha detto Sabrina Garofalo del Centro di Women's Studies 'Milly Villa' dell’Università della Calabria -. Nella Ndrangheta questa relazione tra il territorio e i corpi assume forme di controllo più forti. Qui il concetto di onore cammina di pari passo con quello di violenza, prevalendo sul principio di autodeterminazione". Sabrina Garofalo ha raccontato le storie della giovane testimone di giustizia Maria Stefanelli, della collaboratrice Giusy Pesce e delle donne Maria Concetta Cacciolla, Roberta Lanzino e Annamaria Scarfò che hanno rappresentato un elemento di rottura delle logiche del clan. Chi si ribella va punito con una pena esemplare: “Nei femminicidi di Ndrangheta è stato usato l'acido muriatico che corrode e cancella anche simbolicamente tutti gli organi legati alla voce di chi si parla – aggiunge Garofalo - i corpi delle donne sono stati usati come merce di scambio in una violenza fondativa del potere mafioso, taciuta, in una sorta di ammaestramento collettivo dove il dominio sui corpi va di pari passo con il dominio del territorio”.

Su altri versanti la situazione non è certo migliore. “Occorre superare le disparità anche sul trattamento economico riservato alle donne rispetto a quello dei loro colleghi - ha aggiunto Alessandra Dino – e offrire risorse economiche serie per operare trasformazioni. La maggior parte degli operatori che lavora nelle case-famiglia, ad esempio, lo fa gratuitamente”.

Uno spiraglio arriva dall'Università degli Studi. “L'università di Palermo quest'anno con il nuovo rettore ha voluto un pro-rettorato dedicato all'inclusione e alle politiche di genere. Ciò significa dotare l'università di una struttura che si occupa di tutti i temi connessi alle disuguaglianze e discriminazioni – ha detto Beatrice Pasciuta, pro-rettrice alla Inclusione Pari Opportunità e Politiche di Genere Unipa –. Mettere a disposizione dei ragazzi e delle ragazze le nostre competenze e le nostre ricerche sarà il nostro compito”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)