Nelle carceri milanesi situazione sanitaria al collasso

Nella relazione del Garante dei detenuti, Francesco Maisto, la denuncia per le carenze nell'assistenza a chi ha patologie gravi o problemi di salute mentale. La pandemia ha “solo” accentuato la gravità della situazione già esistente

Nelle carceri milanesi situazione sanitaria al collasso

Due anni di mandato, di cui più della metà durante la pandemia. Per Francesco Maisto, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Milano, il Covid-19 ha fatto emergere ancora di più tutti i problemi di cui il sistema penitenziario era già malato: “Il diffuso degrado strutturale e igienico in alcune aree detentive, la debolezza del servizio sanitario e la densità della popolazione detenuta”. È quanto scrive nella sua relazione di metà mandato: 192 pagine dettagliate, da cui emerge soprattutto la preoccupazione per la situazione sanitaria e la “grave carenza dell'assistenza psichiatrica” nelle carceri di San Vittore, Bollate e Opera. “Abbiamo segnalato all’assessorato regionale alla Sanità il problema della presenza di tanti casi fragili presso gli Istituti penitenziari - scrive Maisto -. Si tratta di casi complessi e che determinano difficoltà gestionali”.
Nelle carceri lombarde, del resto, sono 672 i detenuti con patologie psichiatriche e 208 quelli con disturbi del comportamento. La relazione dedica inoltre un capitolo all'emergenza Covid-19, con tutte le misure adottate dagli istituti penitenziari: dai reparti specifici per i malati di Covid al cablaggio delle strutture per garantire i colloqui a distanza dei detenuti con parenti e avvocati. Ma la vera preoccupazione che emerge dalla relazione è per la situazione sanitaria al di là della pandemia.

Le particolari restrizioni che si sono rese necessarie (durante la pandemia, ndr) hanno negativamente influito sul già delicato equilibrio interno degli Istituti penitenziari, esasperando situazioni già fragili”, spiega Maisto. Un'esasperazione che non solo influisce sulla qualità della vita dei detenuti, ma porta a un aumento delle aggressioni agli agenti della Polizia Penitenziaria: “In particolare l’anno passato, quello della pandemia e della chiusura del penitenziario, è stato il peggiore anche se il 2021 ha già fatto segnare un trend che, se confermato, porterebbe il dato a livello doppi rispetto al 2019 e tripli rispetto al 2015”.

In generale nei due anni di attività, il Garante dei detenuti di Milano ha seguito 383 casi. Si tratta di richieste di aiuto da parte dei detenuti, pervenute soprattutto dai diretti interessati o dai loro famigliari. Il 25% dei casi riguardava problemi di salute (e in particolare di salute mentale) mentre il 16,3% sulle condizioni detentive.

Per Francesco Maisto, serve un cambiamento radicale nell'assistenza sanitaria nelle carceri milanesi. Serve un modello “di presa in carico delle situazioni individuali, di strutturazione di interventi ad hoc, di individuazione di regole d’ingaggio atte a consentire un’operatività concretamente rispondente alle esigenze di cura e di custodia delle persone sottoposte a provvedimenti penali, quali, ad esempio, la previsione di personale specializzato in grado di occuparsi - congiuntamente agli operatori penitenziari - di tali particolari situazioni (psichiatri, psicologi e tecnici della riabilitazione), la maggiore connessione tra servizi Serd e i Dipartimenti di salute mentale”.
Un cambiamento radicale anche perché negli ultimi due anni c'è stato “un forte incremento dell’ingresso di detenuti con problematiche psichiatriche, soprattutto di detenuti stranieri provenienti dai campi libici con evidenti situazioni di disturbo del comportamento dovuto a situazioni di stress post traumatico legati alle violenze e alle sevizie subite in quei contesti”.

Il carcere è anche luogo in cui ci si ammala o in cui peggiorano le patologie di cui si soffriva prima di entrarvi.
La popolazione detenuta risulta essere in media per il 60-70% portatrice di patologie croniche, anche gravi - ricorda Maisto -. Quando parliamo del carcere come discarica sociale parliamo, infatti, di persone che, per età, condizioni fisiche pregresse, stili di vita o abusi di sostanze, in larga parte entrano in carcere in condizioni di salute psico-fisica già pesantemente compromesse. Al tempo stesso per molte persone detenute, soprattutto se cittadini stranieri irregolari, il carcere rappresenta paradossalmente un luogo in cui essere curati o quantomeno la prima occasione di accesso all’assistenza sanitaria. Il carcere è, però, anche un luogo che fa ammalare: molte patologie sia fisiche sia mentali si sviluppano in carcere. Ovviamente questo accade in parte per l’effetto naturale dell’invecchiamento, che però è amplificato da condizioni di vita spesso difficili, precarie e insalubri che accelerano i percorsi legati all’avanzamento dell’età, ma anche la coabitazione forzata con altre persone portatrici di patologie, sicché la stessa condizione di vita in una situazione di restrizione, rappresenta una pesante minaccia per la salute psicofisica delle persone detenute”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)