Non solo “Mia”: nuovo slancio al dibattito su come cambiare il Reddito di Cittadinanza

All’ipotesi, studiata dal governo, di introdurre una nuova Misura di inclusione attiva (Mia) si affianca ora lo studio della Caritas su Reddito di Protezione e Assegno sociale per il lavoro. Approfondiamo le logiche di fondo della proposta: separazione degli obiettivi, definizione dei diritti e dei doveri, reddito minimo contro la povertà assicurato a tutti

Non solo “Mia”: nuovo slancio al dibattito su come cambiare il Reddito di Cittadinanza

E’ un ulteriore tassello nella discussione e nel confronto in atto per modificare l’attuale impostazione del Reddito di Cittadinanza, che il governo Meloni è intenzionato a cambiare in tempi brevi: già nelle scorse settimane – come noto - si è parlato dell’ipotesi di una stretta che potrebbe entrare in vigore dal prossimo settembre e che manderebbe in soffitta la stessa etichetta “RdC” per modificarla con il nuovo “Mia”, acronimo di “Misura di inclusione attiva”. Al di là dei nomi di facciata, però, quello che conta è la sostanza e da questo punto di vista la proposta presentata al governo da Caritas Italiana, messa a punto da un gruppo di studiosi coordinati da Cristiano Gori (Università di Trento), mira a valorizzare l’esperienza degli ultimi anni per superare le criticità e costruire politiche contro la povertà che effettivamente siano mirate alle persone che vivono in questa condizione. Per fare questo, è la premessa, serve anzitutto avere chiare le logiche di fondo che guidano l’impostazione complessiva della misura, logiche che nella proposta Caritas sono riassumibili in queste tre considerazioni: occorre assicurare un’esistenza dignitosa per chiunque sia caduto in povertà; occorre coniugare diritti e doveri; occorre superare la confusione tra l’obiettivo dell’inserimento lavorativo e quello della tutela di ultima istanza.

La proposta Caritas dunque prende la mosse dall'esigenza di disegnare misure specifiche per obiettivi specifici: “Si vuole – spiega Nunzia De Capite (Caritas Italiana), che fa parte del gruppo di lavoro - superare l’attuale confusione tra l’obiettivo dell’inserimento lavorativo e quello della tutela di ultima istanza, prevedendo due prestazioni distinte con finalità differenti”. Ecco quindi il doppio binario, con da un lato l’Assegno Sociale per il Lavoro (una misura di inserimento lavorativo per persone occupabili in difficoltà economica) e dall'altro il Reddito di Protezione che si configura come un reddito minimo per le famiglie in povertà. Un assetto, questo, “che è presente anche in altri paesi europei, comprese Francia e Spagna”.

Per schematizzare il più possibile, possiamo segnalare che nella proposta della Caritas Italiana l'Assegno sociale per il lavoro (AL) ha come obiettivo di fondo il reinserimento lavorativo, mentre il Reddito di Protezione (REP) ha invece come obiettivo di fondo la garanzia del diritto a uno standard di vita minimamente accettabile e di conseguenza un reinserimento di tipo sociale (che peraltro può comunque anche sfociare in un avvicinamento al mercato del lavoro). Proprio in virtù del differente obiettivo, se l'Assegno sociale per il lavoro si rivolge direttamente alla singola persona, il Reddito di Protezione è invece diretto all'intero nucleo familiare. Per ricevere il Rep occorre dunque essere in condizione di povertà economica, mentre per l'accesso all'AL si valuta il disagio economico e la vicinanza al mercato del lavoro.

Ancora: l'Assegno sociale per il lavoro corrisponde ad una somma fissa, di valore inferiore rispetto al Reddito di protezione, pensato invece variabile, pari all'importo necessario a raggiungere un livello minimo di sussistenza. La somma dell'Assegno per il lavoro sarà inferiore anche ai valori previsti in casi analoghi per le indennità di disoccupazione (Naspi e Dis-Coll). Quanto alla durata, l'Assegno sociale per il Lavoro è pensato per un periodo pari a 12-18 mesi, non rinnovabili, mentre il Rep è previsto per 18 mesi con rinnovo sino a che persiste il bisogno. Le due misure sono concepite per essere cumulabili l'una con l'altra ed entrambe richiedono controlli preventivi e la sottoscrizione degli impegni relativi come condizione per ricevere la misura.

L’aiuto per il lavoro: “Conta la storia del singolo lavoratore”

Sul versante dell’Assegno Sociale per il Lavoro ciò che può essere messo in evidenza della proposta di Caritas Italiana è la sottolineatura del concetto di occupabilità, intesa come la probabilità di trovare un lavoro. “A livello europeo - spiega De Capite - l’occupabilità è sempre definita rispetto alla storia lavorativa del singolo insieme alla sua disponibilità di cercare un lavoro: due parametri che guardano all’individuo. In nessun Paese la definizione di occupabilità tiene in considerazione altri fattori, come ad esempio la presenza o l’assenza di particolari carichi di cura a livello del nucleo familiare”. Naturalmente, il coinvolgimento delle persone in percorsi di inclusione lavorativa deve seguire vie ambiziose ma al tempo stesso realistiche: “Non si può rinunciare alla presa in carico delle persone da parte dei servizi sociali e del lavoro: è affiancata da operatori e servizi dedicati che la persona intraprende un percorso di miglioramento della propria vita”. In questo quadro, il contributo economico dovrebbe arrivare solo dopo la firma consapevole di un patto di collaborazione che definisce le regole e le condizioni (stabilite sulla base delle caratteristiche del singolo) a cui attenersi.

Una protezione contro l’indigenza: “Vale per tutti i poveri”

Rispetto al Reddito di Protezione, la sottolineatura della proposta Caritas è che occorre garantire il diritto a un’esistenza dignitosa a chiunque sia caduto in povertà: “Chi si trova con risorse economiche inferiori ad una determinata soglia di povertà deve poter avere diritto con continuità, come avviene in tutta Europa, ad un sostegno pubblico”, sintetizza De Capite. E in questo meccanismo l'occupabilità non è un aspetto dirimente: “In nessun paese europeo a un disoccupato senza altre forme di sostentamento è precluso l’accesso al sostegno economico contro la povertà solo perché considerato occupabile”. Ma soprattutto, guardando ai dati attuali del Reddito di Cittadinanza, la criticità è che troppe famiglie in povertà assoluta non ricevono il RdC (tra il 50 e il 61%, in base ai diversi studi) e troppe che non sono in questa condizione, invece, lo ricevono (tra il 36 e il 51%). Ciò che va fatto davvero è allora migliorare la capacità di raggiungere i poveri: il che, come più volte sottolineato in questi anni, significa non penalizzare le famiglie numerose e con figli, ridurre la soglia dei 10 anni di residenza necessari agli stranieri per ricevere il Rdc, e tenere conto delle notevoli differenze territoriali nel costo della vita, sia tra macro-aree territoriali (Nord/Centro/Sud) sia tra Comuni di diverse dimensioni (piccolo/medio/grande).

Il gruppo di lavoro che ha curato la proposta, coordinato da Cristiano Gori (Università di Trento e collaboratore di Caritas Italiana), è composto da Massimo Baldini (Università di Modena e Reggio Emilia), Andrea Barachino (Caritas diocesana di Concordia-Pordenone), Marco Berbaldi (Caritas diocesana di Savona), Don Bruno Bignami (Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza Episcopale Italiana), Giulio Bertoluzza (Università di Trento), Tomas Chiaromonte (Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della Conferenza Episcopale Italiana), Alessandro Ciglieri (consulente e collaboratore di Caritas Italiana), Nunzia De Capite (Caritas Italiana), Massimo De Minicis (Università di Roma – La Sapienza), Roberto Franchini (Servizio Nazionale per la pastorale delle persone con disabilità), Domenico Leggio (Caritas diocesana di Ragusa), Marco Lora (Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della Conferenza Episcopale Italiana), Claudio Lucifora (Università Cattolica di Milano), Maria Luisa Maitino (Irpet Toscana), Manos Matsaganis (Politecnico di Milano), Lucia Mazzuca (Consulente indipendente), Daniele Pacifico (Ocse, Parigi), Letizia Ravagli (Irpet Toscana), Nicola Sciclone (Irpet Toscana), Alberto Zanardi (Università di Bologna).

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)