Paralimpiadi. Porru: “Gli atleti ci dimostrano che nella vita ognuno può fare tutto ma con la sua unicità”
Il presidente della Fispes - Federazione italiana sport paralimpici e sperimentali, consigliere dirigente del Comitato paralimpico italiano (Cip), già pluricampione paralimpico, racconta quali prospettive possano venire dai Giochi paralimpici di Parigi
Dopo i Giochi olimpici delle XXXIII Olimpiadi di Parigi 2024, eccoci arrivati al secondo appuntamento sportivo che la Ville Lumière ci regala in questa lunga estate di sport a 360°: la XVII edizione dei Giochi paralimpici. 4.400 atleti di 185 Comitati nazionali, 22 discipline sportive con le diverse classi per gli atleti con differenti disabilità, 18 sedi delle gare, circa 2,3 milioni di spettatori previsti dalla Francia e dal resto del Mondo, una copertura televisiva e in streaming mondiale e completa. I numeri sono eccezionali e testimoniano un grande sviluppo del movimento, internazionale e nazionale. In Italia, per la prima volta, ci sarà una copertura integrale dei Giochi paralimpici: la Rai ha destinato Rai 2 e RaiSport a “Canali paralimpici”, permettendo a tutti gli spettatori italiani di gustarsi le prestazioni dei campioni paralimpici. Al Sir Sandrino Porru, presidente della Fispes – Federazione italiana sport paralimpici e sperimentali, consigliere dirigente del Comitato paralimpico italiano (Cip), già pluricampione paralimpico, racconta quali prospettive possano venire dai Giochi paralimpici di Parigi.
Cosa ci possiamo aspettare da questo evento sportivo?
Sarà sicuramente una rassegna importante che, già in partenza, riporta numeri lusinghieri.
Anche la rappresentativa italiana è la più nutrita di sempre: 141 atleti (70 donne e 71 uomini) in ben 17 discipline sportive su 22.
Già questo risultato rappresenta il valore del lavoro svolto dal Comitato italiano paralimpico e sintetizza il frutto dell’opera di promozione svolta in modo capillare nell’intero Paese. Questi numeri sono la punta dell’iceberg di un movimento sportivo che cresce sempre di più, rendendosi artefice anche di un’azione di politica votata a sostenere processi di valorizzazione della persona e della sua inclusione sociale, divenendo uno degli strumenti di welfare più incisivi del nostro Paese. Grazie a questo grande lavoro, svolto nella quotidianità da parte di tutte le Federazioni paralimpiche con il supporto del Cip, siamo certi che i risultati non mancheranno ma, per scaramanzia, preferisco non fare pronostici.
Cosa è cambiato da Roma 1960, primi Giochi paralimpici riconosciuti come tali, a oggi? Cosa rappresentano oggi gli atleti paralimpici, che ora sono assurti a campioni universali?
Direi che in 44 anni di storia un po’ d’acqua sotto i ponti è passata, a giovamento della crescita culturale dell’inclusione e del valore della diversità. Pensiamo solo alle terminologie: la denominazione dei Giochi di Roma 1960 era “Giochi internazionali per paralizzati”, per poi passare ad altri termini come minorati, invalidi, handicappati, disabili e oggi paralimpici, termine che esprime l’abilità della persona, ribaltando la negatività in positività. In questo modo gli atleti paralimpici rappresentano l’icona di persone straordinarie che sono capaci di andare al di là dell’ostacolo fisico ma soprattutto culturale. Ci dimostrano che nella vita tutti possiamo fare tutto ma con la nostra unicità. Questo approccio è capace di rendere anche “l’imperfetto” qualcosa di irripetibilmente bello e unico”.
In che modo lo sport paralimpico può essere una via preferenziale nel miglioramento delle condizioni sociali e di vita delle persone con disabilità?
Un’altra rivoluzione culturale portata dal paralimpismo è stata quella di averci fatto percepire gli ausili come meri strumenti di autonomia, a tal punto che vengono disegnati e realizzati con gusto e di buon aspetto, creando anche dei trend di moda, rendendoli armonici con la nostra persona e familiari nel loro utilizzo.
Tutto questo ha portato ad abbandonare il senso di vergona e la pesantezza del giudizio altrui che si nutriva nel sentirsi osservati dagli altri, stando su una carrozzina o utilizzando una protesi. Per questo lo sviluppo tecnologico non è importate solo per i risultati sportivi.
Nel raggiungere questo obiettivo, come accade in altri settori come l’automobilismo con la F1, anche gli strumenti di vita quotidiana diventano più prestativi, migliorando l’autonomia e la qualità di vita della persona, facilitando i percorsi di inclusione e di cittadinanza attiva.
C’è il pericolo di perdere di vista il vero significato dei Giochi paralimpici?
Questo è un rischio concreto ma che va accompagnato da un altro salto culturale, stavolta richiesto proprio alle persone con disabilità. Le Paralimpiadi sono l’espressione massima della prestazione atletica nelle varie discipline sportive dedicate alle persone con disabilità e pertanto, come accade per gli atleti olimpici, sono riservate ai grandi talenti che sono capaci di migliorare sempre più le migliori performance sportive raggiunte. Non dobbiamo cadere nel tranello che l’essere una persona con disabilità sia il passe-partout che assegna il diritto di partecipazione alle Paralimpiadi. Il posto nell’olimpo sportivo, anche quello paralimpico, va conquistato sul campo, rispettando le regole che accompagnano questo percorso. Piuttosto,
non può essere trascurato il concetto dello “sport per tutti”. Il più solenne degli impegni e degli intenti del paralimpismo è proprio quello di creare le condizioni perché tutte le persone con disabilità possano scegliere liberamente di praticare un’attività sportiva. È a questo livello che lo spirito paralimpico deve insinuarsi e perpetuarsi nel tempo, diventando parte fondante della cultura sociale.
Massimo Lavena