Piano freddo, la risposta di diverse città europee all’emergenza Covid

Posti letto extra, protocolli di prevenzione e distanziamento, isolamento per i positivi: a Madrid, Barcellona e Bruxelles, le amministrazioni hanno messo in campo diverse misure per rispondere alle esigenze delle persone senza dimora durante i mesi più rigidi e per scongiurare il contagio. L’inchiesta del giornale di strada di Bologna, Piazza Grande, racconta come hanno fatto

Piano freddo, la risposta di diverse città europee all’emergenza Covid

Posti letto extra, distribuzione di coperte e sacchi a pelo, somministrazione di pasti caldi e misure di prevenzione e distanziamento anti-Covid: come viene organizzato il Piano freddo in diverse città europee? Quali sono i punti di forza, e quali le criticità? E quali risposte sono state trovate per l’emergenza Covid-19? Sono le domande che stanno alla base dell’inchiesta del giornale di strada di Bologna Piazza Grande, che ha indagato in che modo è stato strutturato in diversi paesi d’Europa il programma nato per rispondere alle esigenze delle persone senza dimora durante i mesi con le temperature più rigide.

La Campaña de frío di Madrid

Nella capitale spagnola, il Piano freddo prevede 500 posti letto extra, oltre al rafforzamento delle cosiddette equipos de calle (le nostre unità di strada). Con l’emergenza Covid, però, sono emerse nuove criticità: visto che il programma è attivo solo nella città ma non nei municipi limitrofi, le persone senza dimora si spostano verso la capitale durante i mesi invernali, andando a riempire le strutture dove risulta ancora più difficile garantire il distanziamento. Chi è positivo al test, poi, spesso è costretto a restare in isolamento all’interno di strutture che non prevedono spazi adeguati. “Per capire come funziona il Piano freddo in Spagna ho contattato l’associazione Solidarios.org e ho parlato con il responsabile del programma per persone senza dimora, Jesús Sandín de Vega – racconta Simona Spinola, redattrice di Piazza Grande e autrice dell’approfondimento –. Io ho vissuto 13 anni a Madrid e sono stata volontaria di quella associazione: partecipavo alle rondas nocturnas, in gruppi di cinque andavamo di notte in giro per le strade, e con la scusa di una bevanda calda chiacchieravamo con le persone. Ricordo che, con il Piano freddo, c’erano equipe specifiche di operatori che si occupavano di aprire i posti in accoglienza, mentre noi facevamo una semplice attività di primo contatto”.

La Operación frío a Barcellona

Il Piano freddo di Barcellona risulta più critico di quello madrileno, e le associazioni denunciano ritardi e mancanze nel fornire un’accoglienza adeguata alle persone senza dimora. Secondo Arrels Fundació, nel solo municipio circa 1.200 persone vivono per strada, oltre 2.100 dormono nelle strutture pubbliche e private della città, che in tutto ha circa 5 milioni e mezzo di abitanti. “A Barcellona praticamente non c’è un Piano freddo strutturato così come lo conosciamo noi, e questo comporta molti problemi: è vero che la città ha un clima migliore, ma non così tanto – spiega Spinola –. Ogni anno, quando la temperatura scende sotto i 5 gradi, il Comune mette a disposizione solamente 75 posti: quando la temperatura raggiunge gli zero gradi vengono aperti ulteriori posti, fino a un massimo di 325. Questi provvedimenti fanno fronte alle esigenze solo del 6 per cento delle persone che vivono per strada. E a dicembre, quando ho parlato con gli operatori, il Comune non aveva ancora condiviso con le associazioni quali misure aveva intenzione di adottare, in particolare su come gestire il distanziamento anti Covid”.

Il Plan Grand Froid di Bruxelles

A Bruxelles, il numero dei senza dimora è decisamente più alto: si contano infatti circa 2.500 sans-abri su una popolazione di poco più di un milione di abitanti. Durante la stagione invernale, le temperature scendono sotto lo zero: con l’allerta della prima notte di gelo, quando cioè la temperatura scende a -1, si attiva il Piano freddo, che permette alle associazioni locali di incrementare il numero di posti letto da 300 a circa 1.300 unità. “La Comunità di Sant’Egidio mi ha spiegato che, nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, sono stati estesi anche i momenti di apertura delle mense, e il numero di pasti distribuiti è triplicato – racconta Spinola –. Rimangono però problemi nel gestire le strutture e garantire il distanziamento tra gli utenti”.   

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)