“Più bambini abbandonati, meno adottabili”: una ripartenza a metà

I numeri delle adozioni internazionali durante la pandemia sono buoni, ma non si inverte la tendenza: 526 nel 2020 e 152 nel primo trimestre del 2021. Associazione Nova: “Tanti Paesi nutrono sospetti nei confronti dell’adozione internazionale. Servono missioni all’estero e patti bilaterali per rimettere al centro i diritti dei più piccoli”

“Più bambini abbandonati, meno adottabili”: una ripartenza a metà

“Sì, ci sono segnali di ripartenza. Ma l’andamento delle adozioni ha seguito l’andamento della pandemia, che ha segnato più a lungo e in modo più impegnativo di quanto pensassimo i percorsi”. A parlare è Massimo Vaggi, presidente di Nova - Nuovi orizzonti per vivere l’adozione, associazione nata a Torino nel 1984 e poi cresciuta in tutta Italia, formata da genitori adottivi per il sostegno di altre famiglie impegnate nel percorso adottivo. Al momento l’associazione è accreditata e operativa in Brasile, Burkina Faso, Colombia, Haiti, India, Mali, Perù. La sua riflessione parte dai numeri: 526 adozioni internazionali nel corso del 2020 (dati Cai, Commissione adozioni internazionali), 152 quelle del primo trimestre 2021, rispetto alle 131 dello scorso anno. Nova, nello specifico, nel corso del 2020 ha realizzato 12 adozioni tra Perù, Burkina, Colombia e Haiti.

“Con ogni probabilità, le adozioni realizzate nel 2020 sono percorsi iniziati l’anno precedente, perché con la pandemia c’è stato un rallentamento delle attività in tutti i Paesi di provenienza dei bambini. Di fatto, le coppie italiane che vogliono adottare ci sono, ma mancano i bambini con cui procedere agli abbinamenti. Alcuni Paesi hanno interrotto del tutto le attività di tribunali, assistenti sociali, servizi chiamati ad accertare lo stato di abbandono dei bambini e dunque a dichiararli adottabili – penso alla Cina e alla Federazione Russa –, altri le hanno fortemente limitate – come nel caso di Colombia e Perù –. Forse tra 6 mesi, poco alla volta, potranno ripartire, ma a quel punto si ingolferanno le autorità centrali. Nel frattempo si sono gonfiate anche le liste d’attesa per le adozioni nazionali e, giustamente, quando si ripartirà, si ripartirà da quelle”.

Dunque sì, la situazione va via via normalizzandosi, ma attenzione: il panorama sarà ben diverso da quello cui eravamo abituati. “Dalla Federazione Russa quasi non ci sono più adozioni, idem dalla Cina. In generale, in 8-9 anni c’è stato un calo delle adozioni del 75 per cento. Perché? Le cause sono molteplici”. Come spiega Vaggi, i Paesi con una legislazione più improntata ai precetti dell’Islam non caldeggiano le adozioni (le adozioni “piene” non sono ammesse dalla religione musulmana, che invece prevede una sorta di affido familiare, ndr): “Etiopia e Repubblica Democratica del Congo, per esempio. C’è chi, come il Mali, le avversa apertamente, ammettendole solo in caso di coppie maliane. Oppure il Benin, dove il direttore dell’agenzia che si occupa di adozioni internazionali non si fa scrupolo di dichiarare la propria contrarietà”.

L’aspetto più drammatico di questa situazione è che “la riduzione del numero di adozioni non equivale a una riduzione del fenomeno dell’abbandono, anzi. La forbice tra numero di bambini abbandonati e numero di bambini adottabili è sempre più ampia. Gli istituti si riempiono, le adozioni si bloccano. In alcuni Stati particolarmente poveri – alcuni Paesi dell’Africa e dell’Asia, ma anche Haiti – manca totalmente una cultura dell’adozione. Registriamo un forte sospetto nei confronti dell’adozione internazionale, che spesso viene associata a concetti come ‘malaffare’, ‘compravendita’. Ecco perché è urgente costruire – o ricostruire – una cultura dei diritti, della tutela dei diritti dei minori in quanto fascia più debole ed esposta, soprattutto in comunità molto povere”. Per questo Vaggi torna a chiedere un rinnovato impegno da parte del Ministero in primis per riannodare fili spezzati e promuovere un nuovo slancio: “Servono missioni all’estero per parlare di adozioni internazionali, patti bilaterali. Non è facile, certo. Ma è l’unica strada possibile se non si vuole che le adozioni diventino qualcosa di assolutamente marginale e residuale”.

Vaggi chiede una riflessioni anche sulla situazione in Italia: “Spesso si pensa che i lunghi tempi d’attesa siano un fenomeno tutto italiano, e ci si concentra su questo. Ecco, non è così: posso assicurare che ci si muove il più velocemente possibile, al netto di un quadro internazionale che, come detto, non è affatto semplice. Trovo poco utile enfatizzare questi aspetti interni: l’unica cosa che conta è impegnarci per raggiungere il maggior numero possibile di bambini abbandonati. E non lo dico da presidente di Nova, ma da genitore adottivo: adottare è una possibilità unica, non solo dal punto di vista della formazione della famiglia, ma soprattutto dal punto di vista delle persone che vanno a costituire questa famiglia. È una straordinaria esperienza di solidarietà, che ti riconcilia con il mondo e ti fa aprire gli occhi su un orizzonte molto più ampio. È questa certezza che ci sprona ad andare avanti: fare sempre le cose per bene, non dimenticarci mai perché lo facciamo. È così che vogliamo uscire da questa crisi: forse con le ossa un po’ ammaccate, ma fedeli ai nostri principi”.

Ambra Notari

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)