Poesia come realtà. La poesia non è solo scrivere bei versi, ma è qualcosa che è dentro di noi da sempre

È un errore pensare che guardare poeticamente il mondo sia inutile se non dannoso. Semmai ci aiuta a capirlo meglio.

Poesia come realtà. La poesia non è solo scrivere bei versi, ma è qualcosa che è dentro di noi da sempre

Se ci riflettiamo bene, la notizia di un bambino di sette anni che dopo un trauma cranico ha perduto parzialmente la memoria ma ha iniziato a scrivere poesie non dovrebbe sorprenderci: la poesia non è solo scrivere bei versi, ma è qualcosa che è dentro di noi da sempre, che riaffiora in alcuni momenti della nostra vita e consiste nel vedere l’esistenza con occhi diversi. Ci dobbiamo solo mettere d’accordo su quel “diversi”, che non significa vedere un’altra realtà. Significa riconoscere il bello nelle piccole cose che ci circondano, godere di quello che abbiamo, il che non vuol dire accontentarsi, ma semmai una marcia in più: fermarsi un attimo è la parola d’ordine di tutta una cultura “slow” che si contrappone alla velocità contemporanea, al nostro recarci di fretta ad una meta facendo piazza pulita di tutto ciò che osa rallentare la nostra corsa. Fare questo è per alcuni un vero e proprio trauma. C’è una poesia-preghiera di Michel Quoist che allude proprio a questa vera e propria malattia dell’anima: “arrivederci signore, scusi, non ho tempo. Ripasserò, non posso attendere, non ho tempo. Termino questa lettera perché non ho tempo. Avrei voluto aiutarla, ma non ho tempo”.

È uno dei mali della nostra epoca, che ci fa vedere come folli quelli che si fermano a guardare un tramonto, un fiore, le nuvole in cielo, il profilo delle montagne in lontananza, il sorriso di un bambino. La poesia è questa.
Lo aveva capito Pascoli quando affermava che il fanciullino in noi sarebbe il nostro salvatore, perché ci renderebbe contenti per aver visto una piantina sul ciglio della strada o un arcobaleno dopo la pioggia.
Il condizionale è d’obbligo, perché non riusciamo più a vedere la vera bellezza, presi come siamo a costruirne un’altra con i soldi e il lusso. Anche Giambattista Vico aveva visto bene quando parlava di una età in cui l’uomo si esprimeva poeticamente, che non vuol dire in versi, ma con la meraviglia di chi riesce ad amare i doni naturali e l’autore di quei doni. Ecco perché alcuni improvvisamente spariscono dalla società (troppo) sazia alla ricerca di eremi lontani e di luoghi in cui i soldi non significano più niente.

Ecco perché lo scrittore francese Emmanuel Carrère termina il suo “Limonov” con l’aspirazione dell’eroe a finire la sua vita insieme ai mendicanti, i “veri re”, sotto i templi dell’Asia centrale ad aspettare la carità essenziale per vivere e dormire. Ecco perché il Cantico di Francesco d’Assisi ancora oggi è considerato Poesia pura e semplice, originaria, senza se e senza ma, anche da critici dichiaratamente atei. Perché è l’ammonimento a fermarsi a guardare le stelle, la luna, a godere dei frutti della terra, senza preoccuparci per il giorno dopo, come nell’insegnamento di Gesù. Poesia pura, certo, ma, guarda caso, unico modo sostenibile, per noi e per sorella terra, di vivere una concreta esistenza.

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Fonte: Sir