Quando adottare significa anche curare: la storia di Jaya

La scoperta della malattia del figlio appena adottato, l’impegno per trovare le cure migliori e sostenere la ricerca. Così una mamma, diventata “paziente esperto” sulla distrofia. La Fshd colpisce una persona ogni 8 mila

Quando adottare significa anche curare: la storia di Jaya

ROMA - “Io e Maurizio abbiamo adottato Jaya Alberto 15 anni fa in Nepal. Dopo qualche anno dal suo arrivo in Italia, nostro figlio ha iniziato a camminare in modo strano e all’età di dieci anni è finito in sedia a rotelle”, racconta Fabiola Maria Bertinotti, intervistata da Laura Pasotti, giornalista di Redattore sociale, per la rivista sulle disabilità SuperAbile Inail.

La diagnosi era di quelle che avrebbero potuto gettare nello sconforto i neogenitori: Fshd(Facio-scapulo-humeral dystrophy ovvero Distrofia facio-scapolo-omerale), una tra le forme di distrofia più diffuse a livello mondiale. Ma così non è stato. “Io, mio marito e Jaya non ci siamo arresi – dice Fabiola, sintetizzando una storia lunga 13 anni –. Abbiamo scelto di reagire, affidandoci alla divina provvidenza che aveva proposto un percorso un po’ diverso a noi e a nostro figlio. Un “sì” alla vita che ci ha regalato molta energia positiva che, in seguito, abbiamo travasato fra gli amici, fra i pazienti con la stessa patologia e fra gli specialisti con cui abbiamo iniziato a lavorare per dare a nostro figlio le cure migliori”. L’obiettivo di Fabiola e Maurizio è stato fin da subito quello di mantenere al meglio e, laddove possibile, migliorare le capacità del figlio. E così è stato. “Oggi Jaya è sulla sedia a rotelle ma non è peggiorato, anzi negli anni si sono susseguiti piccoli e costanti miglioramenti che ci fanno gioire e diffondono speranza tra medici, pazienti, fisioterapisti e insegnanti”.

Ridotta capacità di sorridere, incapacità di chiudere gli occhi nel sonno, difficoltà a sedersi e alzarsi, scapole alate, problemi a sollevare le braccia oltre la spalla, forti dolori del cambio di postura, lordosi, piede cadente, addome protuberante, bruciore nei muscoli, fatica cronica, debolezza dei muscoli addominali, insufficienza respiratoria. Sono alcuni dei sintomi di questa malattia genetica rara, che ha un’incidenza di un malato ogni 8mila persone (dati Fsh Society). Al “fardello della patologia”, come lo definisce Bertinotti, si aggiungono però le difficoltà economiche e burocratiche “legate soprattutto alla fatica di reperire le strumentazioni e le ortesi, vitali per i pazienti”.

Oltre a seguire un’alimentazione che gli consenta di mantenere i livelli di ossidazione cellulare all’interno degli standard normali (verdura, frutta, pasta integrale, pesce, carne e pochi zuccheri, oltre a integratori di vitamine e sali minerali), Jaya fa molta fisioterapia (due ore al giorno cinque giorni su sette, inclusa la ginnastica respiratoria) e uno degli strumenti che utilizza è la “statica” che gli permette di stare in posizione eretta. “Ma per averne una adeguata alla sua struttura corporea abbiamo dovuto aspettare due anni – racconta Bertinotti –: due anni di incartamenti, attese, certificazioni, email e visite al termine dei quali abbiamo capito che le lungaggini erano dovute ai codici del nomenclatore, che i fisiatri e l'Asl faticavano a individuare e imputare”. Una vera odissea che si è conclusa con la scoperta che il contributo per la statica equivaleva solo a 700 euro su un costo totale di 4.700 euro. “Anche se la Regione Lombardia è collaborativa verso le persone con disabilità, credo che il tema dell’esborso economico chiesto alle famiglie richieda l’attenzione delle autorità e presenti notevoli margini di miglioramento”.
Oltre all’impegno per garantire al figlio le migliori cure, la famiglia Motta-Bertinotti è diventata un punto di riferimento per le persone con la stessa patologia di Jaya, “siamo impegnati non solo per il bene di nostro figlio ma anche per quello della comunità Fshd, italiana e internazionale". Grazie al sostegno della Uildm, nel 2010 hanno dato vita, insieme a pazienti di vari Paesi europei, a Fshd Europe, una federazione di associazioni di famiglie accomunate da questa malattia, il cui obiettivo è la promozione della comunicazione e della collaborazione tra pazienti, centri clinici, ricercatori, istituzioni per trovare una cura per la malattia. Da quest’anno Fabiola Maria Bertinotti è, inoltre, membro attivo del Comitato direttivo del Treat-NMD, organismo attivo in campo neuromuscolare con sede a Londra e ha conseguito la certificazione Eurordis come “paziente esperto” nell'ambito delle malattie neuromuscolari, "accreditandomi presso la Ema-European medicines agency”.
Al momento non esiste una cura per questa malattia – afferma Bertinotti – ma la buona notizia è che, finalmente, si sta accendendo l’attenzione su questa distrofia: sono una ventina gli studi di opzioni terapeutiche condotti a livello mondiale e 14 le case farmaceutiche interessate”. Anche l’Italia si è distinta nella ricerca grazie a Telethon che ha sostenuto il lavoro di scienziati come Davide Gabellini, responsabile del Dipartimento di genetica presso il San Raffaele di Milano. “Per merito di Telethon, Gabellini è stato invitato a rientrare in Italia dagli Stati Uniti per partecipare al programma Dulbecco Telethon Institute – aggiunge Bertinotti –. Inoltre, Telethon ha finanziato il network formato da 15 centri neurologici italiani per la diagnosi della Fshd oltre che di altre malattie neuromuscolari. Tali dati sono fluiti dal 1993 a oggi in un database che conta circa 1.300 persone con Fshd in Italia”.

Oggi Jaya Alberto ha 18 anni, frequenta il quinto anno del liceo scientifico e sta studiando per l’esame di ammissione alla facoltà di Ingegneria biomedica del Politecnico di Milano perché, come dice lui stesso, “mi piace il mondo della scienza e della medicina”, e fin da piccolo ha mostrato una vena creativa.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)