Quando il verbo si fa arte diviene un nuovo Adamo e ci invia Chiara. Le proposte di lettura del mese

Le proposte di lettura del mese.

Quando il verbo si fa arte diviene un nuovo Adamo e ci invia Chiara. Le proposte di lettura del mese

Quando il Verbo si fa immagine nell’arte, allora non è solo emanazione del Logos, ma anche condivisione, perché ci fa sentire che c’è qualcosa d’altro, di umano e nello stesso tempo di divino, oltre quello che pensavamo. E che ci sembrava di vedere in un quadro. Un umano e oltre umano che alcuni riescono a suggerirci semplicemente con un tratto di pennello -un tratto che dura mesi- come in musica Bach e Pachelbel ci suggerivano il soffio del Pneuma attraverso le note del limitato pentagramma. Con particolari apparentemente insignificanti, che però ci aprono un mondo non astrale, ma nostro, fatto di vicinato, di un incontro con uno sconosciuto, due chiacchiere con qualcuno che non vedremo più e che però ci ha lasciato qualcosa di profondo dentro. Ce lo dice questo Il Verbo si fa arte. Quattro Vangeli, quattro pittori, di Stefano Negri e Fulvio Rossi, presbiteri nella diocesi di Milano; i quattro grandi sono Caravaggio, El Greco, Bruegel il Vecchio, Rembrandt. Soprattutto il cretese Dominikos Teotokopulos, che “commenta” l’evangelista Marco, naturalizzato spagnolo e chiamato il Greco (El Greco) per antonomasia ci fa pensare, e stupire. Il libro ci presenta, tra le altre opere, il Battesimo di Gesù, che si trova presso l’ospedale Tavera di Toledo, una tela molto grande che come affermano giustamente gli autori “ricorda l’origine bizantina” dell’artista, ma che racchiude qualcosa di altro: in questo prevalere verticale di colori acidi, di corpi allungati, di movimenti rotanti c’è -siamo alla fine del Cinquecento- il superamento del Manierismo, la geniale anticipazione non solo di Modigliani, ma di avanguardie che andranno oltre l’imitazione realistica per arrivare al simbolo puro. Ed è il passaggio tra equilibrio rinascimentale, manierismo e barocco che connota l’epoca dei quattro geni assoluti, come nel caso del Rembrandt che illustra Luca, con un Buon Samaritano che va oltre il realismo e che pone le inquiete “borghesi” domande della gente che sta alla finestra, a commentare l’atto di altruismo del Samaritano e “sembra pensare: ma chi te l’ha fatto fare”?. Un incontro tra genio umano, umana scrittura e Verbo incarnato che ci aiuta molto a riflettere sulla eterna attualità di quella Parola nonostante le mode, i cambiamenti, le rivoluzioni. E le involuzioni.

Stefano Negri, Fulvio Rossi (a cura di) Il Verbo si fece arte. Quattro Vangeli, quattro pittori, San Paolo, 429 pagine, 49 euro.

L’attualità della Parola riguarda anche l’amore umano, corpo e anima. L’omaggio reso in questi giorni a Giovanni Paolo II in ricordo dell’inizio del suo pontificato ci riporta ad un papa che è stato anche scrittore: poesia, narrativa e una pièce, sotto lo pseudonimo di Andrzej Jawien, dal titolo La bottega dell’orefice, uscita la prima volta nel 1960 sul numero 78 del mensile “Znak”. A rileggerla oggi, questa storia di due coppie, di uno strano passante dal nome di Adamo e di un orefice che guarda più al dentro che al fuori, non ha perso il suo dolente fascino. Perché in realtà è come se leggessimo la trasposizione narrativa dell’episodio delle Vergini savie e di quelle stolte, con quelle persone che si lasciano andare alla deriva dell’amore, in cerca di altro, senza sapere che poi si ricomincerebbe di nuovo con i lustrini di un ennesimo bell’inizio per finire con la noia e la delusione. È tempo di risveglio, dice Jawien-Wojtila-Adamo, colui che la donna in crisi incontra lungo la strada e che invece di ripetere l’ennesimo, infelicemente circolare, corteggiamento, mostra il suo vero volto: “sono venuto a svegliarti. Credo di essere arrivato in tempo”. La risposta di Anna è semplice, consapevole, umilmente rassegnata: “io sono una delle vergini stolte. Perchè mi hai svegliato?”. Scritture, amore terreno, presenza di richiami chissà quanto consapevoli allo smarrimento dell’Eliot di Prufrock e della Terra desolata e alla letteratura novecentesca della richiesta di senso, La bottega dell’orefice è tutt’altro che un invito consolatorio al ritorno d’amore: è semmai l’accompagnamento dell’uomo e della donna nelle tenebre della apparente fine di quell’amore con la consapevolezza esperienziale di cosa quella fine comporti dentro. E però anche nel tentativo di ritrovarlo, l’altro perduto. Un cammino niente affatto dogmatico, anzi, contrassegnato dalla consapevolezza della caduta e della richiesta del nuovo per ricominciare, che nel contempo ci aiuta a togliere la polvere dal gioiello che avevamo dimenticato di aver avuto in dono, e apprezzarne la sfolgorante bellezza.

Andrzej Jawen-Karol Wojtyla, La bottega dell’orefice, Libreria Editrice Vaticana, 97 pagine, 8 euro

Ottobre, lo abbiamo visto, è un mese fecondo di memorie. Non solo Giovanni Paolo II, e non solo il Poverello, perché anche Chiara continua a colpire l’immaginario collettivo, pure di chi non si considera credente. E non è un caso che anche su di lei si sia scritto molto: non solo storici, ma narratori e narratrici, artisti, cercatori di verità. È il caso di questo Chiara. Una donna tra silenzio e memoria, di Marco Bartoli, docente di storia medioevale alla Lumsa e all’Antonianum di Roma. l’autore passa in rassegna i documenti coevi o subito posteriori alla santa assisiate, ma non per questo il libro è un arido susseguirsi di notazioni e dotte glosse, anche perché Chiara affascina per altri motivi, tutti ben presenti nello studio di Bartoli: il silenzio, la scelta di non calcare la scena, la decisione di non apparire, di tagliarsi fuori dal mondo. E con il fascino ulteriore dovuto ad alcuni apparenti misteri, come ad esempio quello della scomparsa della figura della santa nella seconda Vita di Tommaso da Celano, che, invece, nella Vita prima aveva goduto, afferma Bartoli di “una presentazione tanto elogiativa da apparire quasi imbarazzante”. Il testo di riferimento di questo libro, ritradotto per l’occasione e posto alla fine dello studio è la Legenda sanctae Clarae virginis, scritta in occasione della canonizzazione di Chiara, con le contraddizioni, le coincidenze, i punti di vista tipici di una antica raccolta di testimonianze, di racconti e di miracoli. Che, lo si diceva, lasciano intatto il fascino del silenzio ma anche della fermezza di una donna capace di dire di no anche a un Papa. Un libro che va oltre le immagini di incontri quasi danzanti o di vita comune di Chiara e Francesco in alcuni film e che precisa tappe del cammino della fanciulla assisiate che, secondo la Legenda, ubbidisce al Poverello e “elegante e ornata si reca alla Palme in mezzo alla folla del popolo” per poi abbandonare i suoi “abiti variegati” e ricevere la tonsura da Francesco stesso alla Porziuncola. Due persone decidono di sparire al mondo, e in realtà rimangono, a distanza di otto secoli, due luci, a guida dell’umanità.

Marco Bartoli, Chiara, San Paolo, 203 pagine, 18 euro.

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Fonte: Sir