Quando morì lo spirito della Storia. Manzoni scrisse il Cinque Maggio per la scomparsa di Napoleone con oltre due mesi di ritardo

Nel Cinque Maggio (che poté essere stampato solo due anni dopo) si faceva largo anche un’altra riflessione, fondamentale per Manzoni: quella sulla religiosità di Napoleone.

Quando morì lo spirito della Storia. Manzoni scrisse il Cinque Maggio per la scomparsa di Napoleone con oltre due mesi di ritardo

Le notizie, due secoli fa, erano un tantino più lente dei tempi immediati d’oggi. Ci lamentiamo di una connessione riferendoci al secondo-due di apertura di un file o di una piattaforma, e se pensiamo alle lettere cartacee di appena qualche anno fa ci sembra il pleistocene. Chissà cosa passò per la testa di Manzoni quando lesse sulla Gazzetta di Milano della morte di colui che aveva incarnato il mito di Cesare e Alessandro Magno, Napoleone Bonaparte (in realtà originariamente Buonaparte), avvenuta nell’isola di Sant’Elena il 5 maggio 1821. Quando Alessandro sfogliò distrattamente il giornale tra uno sguardo all’Adelchi e uno alla revisione della Pentecoste, senza contare che il mese prima aveva cominciato a mettere le mani sul “Fermo e Lucia”, correva però il 16 luglio.

Tempi normali per le notizie del tempo, ma quei due mesi e passa dovettero avere un impatto notevole sullo scrittore, tanto che fermò il lavoro sulle altre opere in corso e praticamente in due giorni – cosa piuttosto rara per l’esasperatamente metodico Manzoni – buttò giù il celebre “Cinque Maggio”. L’ode non superò le strettoie dell’occhiuta censura asburgica: lo scrittore italiano praticamente “assolveva” il generale-console-imperatore e lo dipingeva – eravamo negli anni dell’affermazione in Italia del Romanticismo – come un uomo che rifletteva sul suo destino e sulla fine del proprio mito. Insomma un uomo che doveva affrontare l’incredibile amarezza di aver avuto il mondo in mano e di doversi porre la domanda se non fosse stato tutto un sogno. In realtà nel Cinque Maggio (che poté essere stampato solo due anni dopo) si faceva largo anche un’altra riflessione, fondamentale per Manzoni, che era passato attraverso la cultura illuministica e sensista, la medesima del condottiero corso: quella sulla religiosità di Napoleone.

Perché le domande che ronzavano nella mente del creatore di Renzo e Lucia erano molte, e in parte autoreferenziali: l’eroe era religioso, e se lo era, del tipo di religiosità deista alla Robespierre o proprio cristiano-cattolico? E se sì allora era possibile conciliare il pensiero illuministico con la fede cristiana? Senza contare che in quegli anni nascevano riflessioni inquietanti sullo spirito della storia, che poi sarebbero state “sintetizzate” nella filosofia di Hegel: forse in questo miracoloso cammino di un piccolo ufficiale della provincia isolana, che ha sconfitto vecchi, sonnolenti imperi, e però assai più dotati militarmente, è da vedere la realizzazione di uno spirito, o, per i cristiani, dello spirito divino, che attraverso di lui ha compiuto il suo Disegno? Anche perché sul cattolicesimo di Napoleone è stato detto di tutto.

Alcuni suoi generali, imbevuti di panteismo razionalista o di curiosità per le religioni d’oriente, si stupirono a sentirsi dire che in realtà lui si riteneva non solo cristiano, ma anche cattolico, e che era convinto della divinità di Gesù. Il fatto è che due ragioni rendevano impraticabile la credibilità di questo assunto: una l’abbiamo vista, ed era la provenienza dal razionalismo sensista e materialistico di certo illuminismo, la seconda era – per i rapporti tra la Chiesa e Napoleone consiglio il libro di Mario Dal Bello, “Morte al papato!” Edito da Città Nuova, ricco di notizie e di aneddoti non a tutti noti – che i vicari di Cristo che ebbero la malasorte di fare i conti con lui, furono trattati piuttosto male, anzi, qualcuno parlò addirittura di mani addosso a Pio VII, il quale fu prelevato, portato a spasso tra Francia e Italia, minacciato, adulato, privato delle sue prerogative pontificie. Ma papa Chiaramonti, già monaco benedettino, non gli serbò rancore, e lo perdonò. E secondo alcuni se una figura positiva era emersa da questa rivoluzione epocale, era stata proprio quella del Pontefice.

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Fonte: Sir