Quando scienza e letteratura camminano insieme. Raccontare storie non è così lontano dalla realtà come molti credono

Racconto e scienza si attraversano vicendevolmente, con romanzi che parlano di scoperte, e scienziati che raccontano le loro scoperte in modo spesso convincente e comprensibile.

Quando scienza e letteratura camminano insieme. Raccontare storie non è così lontano dalla realtà come molti credono

La vecchia convinzione che la scrittura, la narrazione, il racconto di storie siano inutili e anzi distraggano dalla realtà ha avuto un brutto colpo quando David Quammen -giornalista scientifico che conosce personalmente i luoghi di cui parla nei suoi racconti- scrisse, correva il 2012, il celebre Spillover (Adelphi): un avviso ai naviganti -gli abitanti della terra- che Ebola, Sars, Aviaria, non erano episodi a sè o incidenti di percorso, ma segnali drammatici di quanto deforestazione selvaggia, inquinamento, invasione dell’habitat naturale, consumo spregiudicato e modaiolo ci abbiano spinto verso il baratro. E parlava, sette anni prima del Covid, del rischio che arrivasse un’epidemia molto più grave, “evoluzione” delle precedenti.

Anche John Ironmanger un altro scrittore che conosce bene ciò di cui parla, visto che è uno zoologo, nel suo racconto La balena alla fine del mondo (Bollati Boringhieri) ha narrato come talvolta la tecnica e la scienza, se staccate dall’etica, possano segnare un clamoroso autogoal alla squadra umana: anche qui si parla di una epidemia scatenata dalla cecità umana e di come il mondo degli affari possa essere disumano e devastante. E noncurante dei pericoli.

La scrittura, lo abbiamo constatato, talvolta diventa profezia: Carlo Levi, che era un chimico, scrisse a partire dal 1948 -dopo il suo ritorno da  Auschwitz- alcuni racconti poi compresi nella raccolta Storie naturali (Einaudi): qui si narra profeticamente la fuoriuscita dell’uomo dalle sue responsabilità attraverso la creazione di macchine in grado di soddisfare ogni desiderio, e nel contempo di sprofondarlo in una noia senza riparo. Un po’ quello che accade in Le api di vetro (Guanda), di Ernst Jünger, in cui anche gli insetti soggiacciono alla parodia della Genesi da parte di un uomo dominato dal delirio di potere.

La narrativa umana nasce dalla coscienza, dal dolore e dall’empatia, ma anche dalle crepe: La crepa è il titolo infatti del recente libro (Fuorilinea) di uno psicoterapeuta, Massimo Scialpi, che narra il suo cammino attraverso il dolore degli altri e di sé, sottolineando che non sempre le ferite del dolore sono negative, ma parte integrante di un cammino diverso da quello usa e getta dell’estetica contemporanea, per la quale una persona va bene finchè è bella e famosa.

Raccontare la scienza è qualcosa che talvolta ci sorprende, perché ci porta dove non avremmo mai pensato, come nel caso del fisico Carlo Rovelli che nel suo recente Buchi bianchi (Adelphi) parla di come, teoricamente, anzi, solo nella fantasia, dopo essere stati risucchiati dalla immensa gravità di un buco nero, si possa attraversare un lungo corridoio per poi uscire magari miliardi di anni dopo. Il che, lo confessa lo stesso autore, ci fa pensare alla Divina Commedia di Dante, un altro “racconto”, impregnato tra l’altro di scienza, quella aristotelica: dallo sprofondamento nel buio dell’Inferno, al lungo corridoio della purificazione del Purgatorio, fino a riveder le stelle.

Ma c’è chi ha raccontato, e racconta ai nostri giorni, come l’esattezza della scienza, e della matematica, si scontri talvolta ferocemente con la varietà e l’imprevedibilità dell’essere: lo ha fatto negli anni quaranta il grande scrittore Herman Broch con l’incognita e lo ripropone ai nostri giorni, un giovane neuroscienziato, Eric Hoel, con Le rivelazioni, ambedue editi dall’editore Carbonio. La coscienza ci pone inqueite domande che secondo Hoel, potrebbero avere a che fare con il peccato originale.

Come si vede, racconto e scienza si attraversano vicendevolmente, con romanzi che parlano di scoperte, e scienziati che raccontano le loro scoperte in modo spesso convincente e comprensibile. Siamo della specie dell’uomo narrante, non c’è niente da fare.

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Fonte: Sir