Ritrovare la strada di Dio. L’Avvento in letteratura è talvolta nascosto nella ricerca di qualcosa o qualcuno che ci mostri la vera via

Il tempo d’Avvento è il periodo per eccellenza di un’attesa di qualcosa che è già stato nostro

Affascinate con la vostra purezza queste notti di Avvento,
o sante sfere,
mentre le menti, docili come bestie,
stanno vicine, al riparo, nel dolce fieno,
e gli intelletti sono più tranquilli delle greggi che
pascolano alla luce delle stelle.

Ritrovare la strada di Dio. L’Avvento in letteratura è talvolta nascosto nella ricerca di qualcosa o qualcuno che ci mostri la vera via

Sono alcuni versi di una poesia che il monaco e scrittore Thomas Merton dedicò all’Avvento. Parole che stillano una altrimenti indicibile sensazione di quieta attesa, durante la quale animali, piante e uomini, il Tutto, sembrano fermarsi per un attimo, come se in quell’attimo potesse essere raccolta l’eternità. E in realtà il tempo d’Avvento è il periodo per eccellenza di un’attesa di qualcosa che è già stato nostro. Momento abissale colto nella sua essenza da Dante: tutto il suo Purgatorio rivela non, come alcuni hanno scritto, la dura espiazione, la punizione severa anche se provvisoria, ma qualcosa di molto diverso: il dolore è attenuato da una sorta di trepida attesa, di veglia notturna aspettando le prime luci del mattino. Nel cuore della notte, lo aveva capito bene San Paolo, è possibile avvertire dentro di sé l’imminenza dell’alba. Soprattutto nel canto XXVI, dove il Fiorentino incontra tra le anime dei lussuriosi, il poeta provenzale Arnaut Daniel, uno dei suoi maestri, questa attesa del giorno radioso emerge con struggente forza; Arnaut si rivolge nella sua antica lingua d’oc a Dante: “Ieu sui Arnaut, que ploro e vau cantan;/consiros vei la passada folor,/ e vei jausen lo joi qu’esper, denan”, vale a dire “Io sono Arnaut, che piango (a causa dell’espiazione dei peccati) e vado cantando; vedo pensoso la mia passata follia, e guardo la gioia, che spero, davanti a me,”. È una delle pagine più belle in assoluto dell’intera Commedia, perché esprime non tanto e non solo il dolore della pena, ma la speranza e la gioia di un avvento: il momento in cui l’anima, libera dal peso del peccato tornerà nella patria celeste. L’Avvento è il privilegiato periodo della trepida attesa, e un poeta come Leopardi sapeva bene come l’attesa, in questo caso il sabato di un giovane in un borgo dell’Italia centrale, è forse più bella della realizzazione delle speranze stesse, che non si realizzano. Come si e realizzata, invece, 2020 anni fa, la speranza cristiana dell’Evento per eccellenza, quel “sole che sorge” che “verrà a visitarci dall’alto” nella parole di Zaccaria ricordate da Luca o da quel senso di attesa spasmodica di un Evento che cambierà il mondo in molta parte delle Scritture.

Questo senso di attesa di qualcosa che ci indichi il senso della vita torna costantemente nelle umane parole, quelle di scrittori, poeti, filosofi e perfino autori di musica rock, come accadde, solo per fare un esempio, in Time , una canzone di uno dei più grandi gruppi della musica contemporanea, i Pink Floyd: “Scorrono via i momenti che fanno un giorno noioso, sperperi e sprechi le ore senza curartene, girovagando su un pezzo di terra nella tua città, aspettando qualcuno o qualcosa che ti indichi la via”. Anche nel mondo trasgressivo della contestazione era forte quel senso di attesa che se porterà alcuni in paradisi artificiali o in mitizzazioni politiche, diventerà per altri la strada per la ricerca di Dio.

Anche nell’Eliot di prima della conversione è presente un malessere che è attesa di qualcosa che parli una lingua diversa da quel “so tutto, non mi aspetto nulla da nessuno” di una borghesia intellettuale raffinata ma priva ormai di punti di riferimento. Come scrive il grande poeta, l’intellettuale di primo Novecento vede “vacillare il momento della grandezza” e pur essendo coltissimo non trova le parole che colgano l’essenza della realtà: “Non è per niente questo che volevo dire”. Solo nel “Mercoledì delle ceneri”, molti anni più tardi il poeta potrà finalmente dire che ha trovato la via maestra per la terra promessa: “Questa è la terra. Ecco, abbiamo la nostra eredità”. E come dimenticare il Chesterton che nel suo capolavoro, “L’uomo che fu giovedì”, fa finire una banda di (finti) anarchici in un giardino in cui il Dio prima nascosto ora li invita a mangiare insieme? Un giardino che lascia una inquietante impressione: “il ricordo di un luogo che poteva dire di conoscere prima della propria madre”.

L’Avvento in letteratura è anche ritrovare la strada perduta verso il vero senso della vita.

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Fonte: Sir