Roma, investire sulla periferia? Conviene a tutti

A colloquio con Stefania Mancini della Fondazione Charlemagne. Con il programma "Periferiacapitale", la Fondazione ha deciso di dedicarsi alla città di Roma e supportare una serie di progetti mirati a carattere sociale, ambientale e culturale

Roma, investire sulla periferia? Conviene a tutti

Una serie di interventi mirati per sostenere i processi di comunità in quei quartieri dove, complice anche l’emergenza sanitaria, il disagio si è fatto sempre più evidente. Si chiama "Periferiacapitaleil programma di Fondazione Charlemagne pensato per la città di Roma con l’obiettivo di stimolare l’attivismo, il volontariato e la partecipazione civica dal basso. Un investimento sulle periferie che è un progetto a lungo termine e che si snoda su tre direttrici: sociale, culturale e ambientale.  Ne abbiamo parlato con il consigliere delegato della Fondazione, Stefania Mancini.

Perché avete deciso di investire sulla periferia romana?
Le origini del programma riconducono ad alcuni anni or sono, quando abbiamo iniziato a monitorare e osservare alcuni fenomeni di rigenerazione, riqualificazione e riappropriazione di territori in alcune aree ove la voce e le esperienze della società civile organizzata hanno dimostrato una forte capacitò gestionale e progettuale. In Italia, ci siamo concentrati su Napoli, per esempio, dove negli ultimi dieci anni abbiamo osservato una importante capacità di rinascita, grazie all’affermarsi di una formula cogestita tra enti del territorio, associazioni di terzo settore e fondazioni, che ha dato un volto nuovo a parte della città, introducendo formule di sviluppo e coesione prima insperate e al tempo stesso validando prassi che contenevano indicazioni utili per le amministrazioni locali. A livello internazionale abbiamo osservato che in zone fortemente depresse, con tassi e indicatori socioeconomici molto bassi, il contrasto alla povertà era condotto da iniziative che, a livello locale, partivano dalla consapevolezza comunitaria delle problematiche e venivano rielaborate in processi condivisi con parte degli stakeholder locali. Mi riferisco ad alcune città in Africa, nel Sud Est Asiatico, in Sud America: numerosi sono stati i percorsi che hanno cambiato il volto di alcune periferie intese in senso lato come aree di confine. Il nostro lungo percorso italiano e internazionale, ci ha permesso di accettare una nuova sfida e quindi provare a intervenire anche su Roma. Roma è la città dove abbiamo scelto di aprire la nostra sede oltre 20 anni fa. Siamo consapevoli della complessità che avvolge la città e che la caratterizza da svariati decenni. Con l’aggravio di essere diventata oggi una metropoli i cui tratti sono paragonabili alle megalopoli del Sud del mondo, per difficoltà logistiche, urbanistiche, per accesso ai servizi, per la gestione ordinaria e straordinaria. E’ per questo che abbiamo iniziato a ragionare sulla possibilità di orientare la nostra strategia verso le periferie romane, pur consapevoli della sfida che ci attendeva.  La frontiera verso cui le fondazioni e il terzo settore possono orientarsi non credo possa prescindere da due importanti elementi, la periferia, in senso lato, e le accademie il cui sapere deve poter essere valorizzato e coniugato nei processi di sviluppo territoriale. Nel caso romano, mi riferisco a La Sapienza, Tor Vergata e Roma Tre. 

Come avete scelto le zone in cui intervenire? 
Abbiamo in primo luogo studiato, ascoltato, raccolto dati. Ci siamo confrontati con vari interlocutori, non solo romani, la cui esperienza per noi era un faro di riferimento, Abbiamo letto e analizzato i “racconti” di Roma, ovvero quanto documentato narrato e scritto nel corso dei decenni. E al tempo stesso intervistato coloro che tutti i giorni in città operano per il bene dei suoi abitanti: i riferisco a organizzazioni del Terzo Settore, gruppi spontanei, gruppi di mutuo aiuto, parrocchie. Il nostro è stato un timido ma strutturato percorso di approfondimento (ancora in essere) per studiare la città, avvalendoci anche della raccolta di dati precedenti, della storia della città negli ultimi due secoli, così da individuare le fonti, le narrazioni, le problematiche e quindi elaborare un primo documento di studio sulla città e un relativo primo programma. Senza addentrarmi nei dettagli, è oggettivo poter affermare che a Roma non esiste un municipio che non presenti gravi difficoltà. Periferiacapitale oggi è al primo anno di lavoro e in soli 12 mesi siamo riusciti a essere presenti in molte aree urbanistiche e il più dei municipi. La nostra presenza consta di contatti, di relazioni, di confronti. Ci siamo e siamo con le organizzazioni che si avvicinano al programma periferiacapitale, che ne beneficiano ma al tempo stesso lo arricchiscono, con la loro visione, l’operatività e la unicità della loro esperienza.

Il criterio era ed è raggiungere territori ove fosse individuabile un'interlocuzione affidabile, rappresentata da un’organizzazione di volontariato, una cooperativa sociale, una parrocchia o un gruppo di auto aiuto. Gli “interlocutori” territoriali di periferiacapitale sono coloro che hanno a cura una parte di territorio, che si occupano di target sensibili di un intervento e che innescano a vario titolo progetti di miglioria, percorsi di fiducia, di inclusione e di rigenerazione. Sono interlocutori la cui opera è tangibile, riconosciuta, e sono elementi di fiducia per il quartiere-utenza in cui operano. In questo modo Periferiacapitale e il senso che la conduce ci permette di estendere anche in una operatività territoriale il senso primo della nostra fondazione: la nostra prima caratteristica, voluta e perseguita dai nostri fondatori, e quella di saperci alleare, ponendoci al servizio e supportandole finanziariamente, ma non solo, per la loro crescita e il loro impatto.

Che tipo di supporto date alle organizzazioni?
Il lavoro che svolgiamo con ciascuna delle organizzazioni è di tipo modulare: partiamo dall’ascolto, al centro del “tavolo” visione, proposte, programmi e desideri, per il proprio operato. Poi elaborato un cammino insieme, il nostro intervento ha diverse componenti. Un core fund, quindi un vero e proprio supporto economico, per lo più destinato a sostenere le spese di struttura.  Nella convinzione che questa formula possa permettere alle associazioni un grado di autonomia di pensiero e una flessibilità di azione.  In secondo luogo, è previsto un percorso di formazione, che possono riguardare la governance, i processi di capacity building, la progettazione, il fund raising, la contabilità, il posizionamento istituzionale. I contenuti della formazione sono elaborati in base ai bisogni espressi dai nostri partner, poi raccolti ed elaborati da noi. La formazione apre strade nuove rende partecipi attivamente alcuni dei nostri partner più esperti, che a loro volta fungo da trainers per gli altri attori aderenti al programma. Infine, innesca formule di messa in rete, che creano un “collante” tra pari. Il terzo volano è la coprogettazione, che ci vede anche scrivere insieme progetti che rispondano a possibili risorse pubbliche, locali, nazionali o europee. In tal senso la Fondazione prevede di attivare un sistema di cofinanziamento per garantire la quota di cofinanziamento ad alcuni dei propri partener in bandi o fondi pubblici.

Periferiacapitale comprende azioni e progetti in ambito sociale, culturale e ambientale, abbracciando quindi complessivamente i diversi ambiti di espressione del territorio e perseguendo al tempo stesso un approccio di tipo sistemico e integrato. Per questo scorrendo la tipologia dei progetti e delle iniziative ad oggi finanziati dal nostro programma, si ritrova una gamma molto ampia. Volutamente  periferiacapitale si è alleata con Calciosociale di Corviale, con Ponte Laurentino, con la Città dei ragazzi, con Antropos, con la Palestra Popolare del Quarticciolo, Labsus e tanti altri. 

I progetti che state finanziando erano già attivi a Roma da anni, segno che in molte aree ci sono già gli anticorpi per contrastare i problemi sociali, vanno solo riconosciuti e incentivati. 
Gli anticorpi per contrastare i problemi sociali della nostra città esistono, e sono ben strutturati, e credo che questo sia un dato oggettivo.  Riscontriamo, e non solo noi, un problema di affermazione, interlocuzione, visibilità e forse anche di narrativa, a differenza di altre città italiane. Roma è grande e dispersiva, mille e più le sue problematiche, le sue espressioni. Ciò provoca dispersione dell’essere. Con questo programma vogliamo anche testimoniare il ruolo che le fondazioni e gli enti filantropici possono svolgere nel supportare la resilienza e la progettualità del Terzo Settore. Sicuramente per il futuro vorremmo superare alcune prassi in vigore da tanti anni per introdurre azioni di più ampio respiro che conducano a una visione di insieme e prolungata nel tempo, in grado di accompagnare lo sviluppo e le evoluzioni di date aree. Per far ciò riteniamo fondamentale favorire anche lo scambio di prassi e lavorare per l’affermarsi di una presenza forte del Terzo Settore e della società civile nella città di Roma. Alcuni “saperi” ed esperienze in città sono assai valide e non hanno pari, e ci piace pensare che possano contaminare positivamente altre aree, così da poter ambire ad una nuova immagine di Roma che descriva questa città come un luogo ove comunità forti e organizzate sono capaci e motivate nel prendersi carico delle sfide e contribuiscono ad un nuovo welfare locale, basato sulla inclusione, la prossimità e un pieno accesso ai diritti.

Il concetto di periferia è molto relativo: durante i periodi di lockdown abbiamo visto che ci sono aree di periferia umana anche al centro di Roma.
Con la pandemia i confini della periferia hanno travalicato i confini territoriali, ecco perché il concetto di periferia umana. L'esclusione e l’emarginazione sociale, nonché la povertà hanno registrato un forte incremento. Basti solo pensare che la povertà durante la pandemia è aumentata di oltre il 30%. Un dato che ha radicalmente cambiato la vita di molte persone, che in poco tempo si sono trovate ai margini della società, hanno avuto impossibilità di accedere ai servizi di base, sono state dimenticate. A ciò si aggiungano gli invisibili e i meno noti, coloro che ancora molti di noi non vogliono (forse per incapacità o paura?) considerare; mi riferisco agli immigrati, ma anche ai senza fissa dimora, a tutti coloro che ci interrogano e a cui non vengono date risposte adeguate.

In questo scenario, in piena pandemia, sono state le organizzazioni di terzo settore e le fondazioni a svolgere un ruolo fondamentale, di prossimità e assistenza agli invisibili, ai migranti, agli anziani soli, e a tutti coloro che sono in una perenne condizione di esclusione sociale.  Charlemagne da sempre è impegnata al fianco di coloro i cui diritti sono negati, è questo il filo conduttore del nostro essere fondazione.  L’ampia libertà di cui godiamo, essendo di origine privata, ci ha permesso di supportare progetti anche considerati difficili, a rischio, scomodi, penso ad esempio quanto fatto in materia di contenzioso strategico in difesa dei migranti.  Durante la pandemia, oltre ad avviare il programma Periferiacapitale, abbiamo operato un veloce ricognizione per garantire ad alcune organizzazioni romane, di poter disporre di fondi che permettessero loro di scendere in campo tempestivamente e avviare numerose iniziative di contenimento della povertà.

Che prospettiva vi siete dati?
Con questo programma pensiamo a risultati di lungo termine, visibili in dieci anni. La nostra prospettiva è 2020-2030 anche in linea con l’Agenda UN.  Ci vuole tempo e dedizione, fiducia e risorse, vogliamo costruire alleanze che siano a beneficio del terzo settore romano, invocando anche i pregressi partenariati di cui gode la Fondazione, attivando finanziamenti e progettazioni il cui impatto sia di qualità e non solo quantitativo.
Roma può avere un migliore futuro, a cui tutti siamo chiamati a contribuire, ciascuno e insieme.  Non ci sono premi finali, ma solo che sia posto al centro il benessere e la crescita dignitosa dei suoi abitanti e delle generazioni future. Auspico un nuovo posizionamento di questa città nel Paese: che possa  essere Capitale,  competitiva ma a misura d’uomo, capace di tutelare il suo straordinario capitale umano.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)