Roma secondo Enrico Vanzina: “È un passato condiviso che appartiene a tutti e che si sta spegnendo”

Accanto alla carriera cinematografica, Enrico Vanzina ha affiancato da tempo quella di scrittore con la pubblicazione di diversi libri. In questi giorni è in uscita in libreria la sua ultima fatica editoriale, il romanzo “La sera a Roma” (Mondadori)

Roma secondo Enrico Vanzina: “È un passato condiviso che appartiene a tutti e che si sta spegnendo”

Classe 1949, Enrico Vanzina ha cominciato seguendo le orme del padre Steno, Stefano Vanzina, tra i registi più importanti del cinema italiano del Secondo dopoguerra (“Un giorno in pretura”, “Un americano a Roma”, “Piccola posta”). Prima come sceneggiatore per altri autori, poi a partire dal 1976 Enrico scrive copioni che il fratello Carlo dirige per il grande schermo. I titoli del loro sodalizio hanno segnato la storia della commedia e del costume italiano degli ultimi quarant’anni (tra i più celebri “Sapore di mare” e “Vacanze di Natale”). Accanto alla carriera cinematografica, Enrico ha affiancato da tempo quella di scrittore con la pubblicazione di diversi libri. In questi giorni è in uscita in libreria la sua ultima fatica editoriale, il romanzo “La sera a Roma” (Mondadori 2018, pp. 188).

Il titolo fa capire che la vicenda si svolge nella Capitale. Si tratta solo di una scelta logistica o nell’indicazione del luogo c’è qualcosa di più profondo?
Naturalmente il titolo indica il luogo dell’azione, Roma. Ma Roma in questo libro non è solo un luogo, è una metafora. Rappresenta un luogo dell’anima, un passato condiviso che appartiene a tutti e che si sta spegnendo.

Il protagonista racconta in prima persona, si può dire che dietro di lui parla l’Autore, uomo e personaggio?
Federico, il protagonista, è uno sceneggiatore e un giornalista. Come diceva Flaubert, a proposito di Madame Bovary, “Madame Bovary c’est moi” io posso dire altrettanto: “Federico c’est un peu moi”… È un po’ me.

Molte pagine del romanzo si svolgono all’interno de “Il Messaggero”, quotidiano per antonomasia della Capitale. Al di là del riscontro nella tua vera attività di collaboratore del giornale romano, quale ruolo ritieni possa ancora svolgere la carta stampata nella società di oggi e in una realtà vasta e talvolta frammentaria come Roma?
La stampa sta subendo delle trasformazioni epocali dovute allo sviluppo di nuove tecnologie, ma la sua importanza rimane centrale nell’informazione. Continuerà a essere letta, anche se sempre di meno sul supporto cartaceo. Roma, poi, continuerà a essere descritta e raccontata dal giornalismo futuro.

Insomma, lo spero. Se non fosse così, sarebbe una assoluta tragedia.

La linea portante del romanzo è quella del ‘giallo’, sia pure con sfumature diverse. Un ‘giallo’ che, andando avanti, assume aspetti inquietanti e risvolti sempre più misteriosi, quasi metafisici. Un po’ alla Simenon. C’è un colpevole da trovare, ci sono personaggi che di volta in volta possono essere visti come tali salvo uscire infine dall’ombra del sospetto. E poi c’è Roma, eternamente bella e dannata, amata e odiata anche nel ricordo di tuo padre Steno. Torna con lui il grande dilemma del rapporto tra impegno e divertimento. È una riflessione che hai fatto mentre scrivevi le ricche e intense notazioni sulla nobiltà romana, sui poliziotti modesti ma arguti, sulle figure di contorno che popolano le pagine e danno all’insieme mille suggestioni, mille sfumature, mille palpiti di attesa?
Questo romanzo, apparentemente “di genere”, un giallo, in realtà è molto complesso. Ci sono diversi livelli di lettura. È un romanzo alla Fruttero e Lucentini, ma anche un libro su Roma, sul Giornalismo, sul Cinema e sul Tempo che passa. Lo sguardo è quello letterario, ma anche cinematografico. Ritmo serrato, dialoghi veri, osservazione caustica dei personaggi.

Ho cercato di mischiare le cose, quelle alte e quelle quotidiane, i misteri con le descrizioni di vari ambienti. Ho provato soprattutto a intrattenere il lettore con semplicità. Sì, forse con quella semplicità di sguardo che aveva mio padre.

Non si può non chiudere con un richiamo cinematografico. Nel romanzo si può intravedere un bilancio della tua lunga carriera? Quali progetti per il futuro?
I bilanci mettono tutti a disagio. Forse questo romanzo è il bilancio di una parte della mia vita. E quindi faccio fatica ad ammetterlo. Ma la vita continua. Carlo e io abbiamo in mente due o tre idee di commedia, ma non solo. Vorremmo fare un film tutto al femminile.

Massimo Giraldi

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