Rumori subacquei. L'aumento di rumori marini di origine umana e gli effetti sulla fauna oceanica

Uno studio ha evidenziato un significativo impatto negativo su molte specie, soprattutto a livello di comportamento, fisiologia e, in alcuni casi, sulla loro stessa sopravvivenza.

Rumori subacquei. L'aumento di rumori marini di origine umana e gli effetti sulla fauna oceanica

Le immense distese oceaniche sul nostro pianeta, al netto delle inevitabili perturbazioni atmosferiche, solitamente evocano nel nostro immaginario pace e silenzio. In realtà, però, gli oceani sono continuamente attraversati da una miriade di rumori naturali. Una parte di essi è rappresentata da suoni di origine animale, ovvero stimoli sensoriali che, propagandosi su lunghe distanze nell’acqua, servono agli abitanti marini – dagli invertebrati alle grandi balene – sia per interpretare ed esplorare l’ambiente, sia per interagire tra loro. Un’altra parte di rumori oceanici è invece legata a fattori ambientali non biologici, come le eruzioni dei vulcani sottomarini, i terremoti, gli eventi atmosferici come vento, pioggia e tuoni.
Fin qui, in estrema sintesi, l’ambiente acustico marino “naturale”. Ma non dimentichiamo di vivere nell’era geologica detta “antropocene”, ovvero l’era in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana. Ciò, evidentemente, riguarda anche l’ambiente acustico marino dove, ai rumori “naturali”, si sono aggiunti nel corso del tempo quelli delle attività umane, con un forte impatto sulla vita marina in tutto il mondo. Ma, fino a che punto?

A tracciare un quadro complessivo della situazione attuale ci ha pensato un ampio studio (pubblicato su “Science”), realizzato da Carlos Duarte, dell’Università di Aarhus (Danimarca), e alcuni suoi colleghi, in cui si forniscono anche interessanti indicazioni per tentare di mitigare le conseguenze più negative per la biologia marina.
In pratica, il gruppo di ricercatori ha effettuato un’attenta revisione di numerosi studi pubblicati nell’arco di 40 anni, per poter valutare l’effettivo livello di “antropofonia” degli oceani, cioè del rumore di origine antropica, e la sua evoluzione nel tempo. Lungo i decenni, infatti, sono costantemente aumentate, diffondendosi in modo sempre più invasivo, molte attività come – solo per citarne alcune – la costruzione di infrastrutture costiere o sul mare, la navigazione per il trasporto di merci e persone o per la pesca, lo sfruttamento delle risorse petrolifere e dell’energia eolica “offshore”, o ancora i voli aerei a bassa quota.

A ciò vanno poi aggiunti gli effetti indiretti legati alle attività umane, come ad esempio quelli dovuti al riscaldamento climatico: nelle regioni polari, la fusione dei ghiacci provoca fratturazioni e cadute di masse di ghiaccio nell’acqua, che producono suoni ormai dominanti nel fondo acustico artico e antartico. Purtroppo, a questo “coro” crescente di rumori artificiali dannosi fa da contraltare – in modo quasi paradossale – il progressivo “silenzio vitale” in cui stanno piombando alcune aree marine. Ciò è dovuto a vari fattori, ad esempio il deterioramento di habitat come le barriere coralline e la caccia ai grandi mammiferi acquatici, comprese le balene, con un conseguente drastico calo nell’abbondanza di animali marini che producono suoni.

L’impietosa analisi dei dati oggettivi esaminati da Duarte e colleghi ha dunque evidenziato un significativo impatto negativo su molte specie, soprattutto a livello di comportamento, fisiologia e, in alcuni casi, sulla loro stessa sopravvivenza. I più colpiti da questo fenomeno sono senz’altro i mammiferi marini, ma non mancano studi che documentano influenze negative anche su pesci, invertebrati, uccelli e rettili. Dati alla mano, non v’è alcun dubbio che il rumore delle navi, i sonar attivi, i suoni artificiali e i dissuasori acustici per gli uccelli siano tutti in grado di influenzare la fauna, così come il rumore prodotto dagli impianti per la produzione di energia, senza dimenticare le analisi geofisiche basate sulla produzione di onde sismiche artificiali (“sismica a riflessione”).

Da questo studio, però, emerge anche un dato positivo: a differenza di molti altri fattori di stress prodotti dagli esseri umani sugli ecosistemi marini, il rumore produce infatti effetti in gran parte reversibili. Per migliorare la situazione, quindi, basterebbe scegliere di limitare le sorgenti umane di rumore in mare, nel quadro di un ripensamento complessivo dello sfruttamento delle risorse marine per una effettiva sostenibilità. Ad esempio, si potrebbe provare ad implementare una nuova regolamentazione del traffico navale (riduzione delle navi, limiti di velocità e scelta delle rotte a minor impatto), così come introdurre l’uso di propulsori silenziosi per i natanti e di tecnologie per gli studi sismici più rispettose per l’ambiente.

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Fonte: Sir