Scatta la stagione dei raccolti, ma mancano i lavoratori. L’agricoltura è nuovamente alle prese con una forte carenza di manodopera

La necessità di un cambio di passo nelle politiche agricole.

Scatta la stagione dei raccolti, ma mancano i lavoratori. L’agricoltura è nuovamente alle prese con una forte carenza di manodopera

Ancora una volta mancano lavoratori per l’agricoltura. Questione non nuova, quella della carenza di manodopera per i campi e le stalle italiane. Questione però che ogni anno si ripropone con sempre maggiore gravità. E che mette in forse (o comunque complica) alcune delle operazioni di raccolta più importanti in tutta l’annata agraria. L’allarme è stato sollevato da tutti. Ma non pare essere stato recepito dalle istituzioni. Mentre i numeri parlano chiaro.

A conti fatti, mancano tra i 90 e i 100mila operai agricoli per svolgere le operazioni di raccolta di tutte le coltivazioni che in queste settimane arrivano a maturazione. Un appuntamento che, tra l’altro, con le ondate di caldo successive sta arrivando in tempi piuttosto rapidi. Coldiretti in una nota traccia un quadro geografico della situazione: “Dal Trentino al Veneto passando per l’Emilia fino ad arrivare in Basilicata la situazione – viene spiegato – è divenuta drammatica con il rischio concreto di perdere i prodotti ormai maturi”. Situazioni simili sono anche quelle tracciate da Confagricoltura e Cia-Agricoltori Italiani. Alla base di tutto, ancora una volta a quanto pare, c’è la burocrazia che non bada ai tempi della natura e dei mercati. Occorre, viene detto da tutti, velocizzare il rilascio dei nulla osta necessari per consentire ai lavoratori extracomunitari, ammessi all’ingresso con il decreto flussi, di poter arrivare in Italia per lavorare nelle imprese agricole. Ritardi, dunque, Ma non solo. Perché i coltivatori diretti precisano anche un’altra circostanza. Rispetto all`anno scorso le quote di lavoratori extracomunitari ammessi per decreto in Italia è stato alzato a 69mila e di questi, la parte riservata all`agricoltura è pari a 42mila posti: le richieste già arrivate, come si è detto, sono circa 100mila.

Si delineano così almeno due circostanze, entrambe negative. Da un lato, c’è il concreto rischio per molte imprese di non poter raccogliere le produzioni nei tempi giusti, con l’evidente possibilità di buttare via merce e di non riuscire a soddisfare la domanda di mercato. Una prospettiva che gli agricoltori respingono, dopo che le loro imprese hanno già affrontato “un pesante aumento dei costi di produzione determinato dalla guerra in Ucraina”. Dall’altro, lo spettro del lavoro nero e del caporalato si fa ogni giorno più consistente. Di fronte alle necessità di raccolta e ai costi comunque alti, i più fragili possono cedere alla tentazione di ricorrere a vie “più facili”. E’ una circostanza contro la quale le organizzazioni agricole e quelle dei lavoratori da tempo sono unite, ma che in modo infido può sempre palesarsi e far danno. Anche se esistono sempre esempi virtuosi di aziende e associazioni che si pongono contro queste forme di lavoro.

Ma quindi che fare? Strette tra i costi di produzione e la mancanza di braccia, le imprese agricole rischiano spesso il tracollo. Oltre alla richiesta di accelerare i tempi burocratici, le organizzazioni agricole puntano all’allargamento della platea di persone che possono essere abilitate ai lavori agricoli. “Occorre consentire – dice Coldiretti -, anche ai percettori di ammortizzatori sociali, studenti e pensionati italiani di poter collaborare temporaneamente alle attività nei campi”. Una strada che può essere percorsa anche tenendo conto delle necessità di formazione professionale che implica. Mentre Cia ricorda la possibilità di bisogna sottoscrivere “accordi con agenzie interinali fortemente radicate sul territorio, in grado di avviare percorsi virtuosi anche nelle aree interne”. Quello che è certo, è che stare fermi non è possibile. Da questo punto di vista, oltre a sottolineare che le imprese agricole “non possono lavorare in perdita”, vale sempre quanto indicato da tutti e che Confagricoltura spiega così: “L’Europa deve dar vita ad una nuova politica alimentare, con un modello di produzione integrato. La crisi in Ucraina e i mutamenti climatici hanno messo in luce l’emergenza alimentare in atto a livello globale. Finché i leader mondiali non si metteranno attorno a un tavolo per discutere su una nuova food policy, continueremo a navigare a vista”. Anche per quanto riguarda le necessità di manodopera.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir