Scelta di testa o di cuore? E' corretto orientare i nostri giovani a fare scelte prevalentemente utilitaristiche?

Accade spesso che il “miraggio” del lavoro facile renda superficiale l’approfondimento riguardo i contenuti delle discipline che il corso di studi selezionato prevede e che, invece, dovrebbe essere il perno della stessa scelta.

Scelta di testa o di cuore? E' corretto orientare i nostri giovani a fare scelte prevalentemente utilitaristiche?

Mentre molti neodiplomati in queste settimane sono alle prese con i test d’ingresso per l’accesso all’università, i media diffondono dati e classifiche sulle facoltà accademiche più gettonate e con maggiori sbocchi professionali. Il messaggio arriva forte e chiaro: attenzione alle vostre scelte, perché il baratro della disoccupazione (o della sottoccupazione) è dietro l’angolo.

In effetti, prima di intraprendere qualsiasi tipo di percorso sarebbe buona cosa avere contezza delle prospettive attese. Viene, però, da chiedersi: in una società così esposta alla rapidità del cambiamento siamo davvero in grado di stabilire cosa richiederà il mercato del lavoro da qui ai prossimi cinque-dieci anni? E, soprattutto, è corretto orientare i nostri giovani a fare scelte prevalentemente utilitaristiche insegnando loro ad accantonare le proprie vocazioni? E, ancora, è giusto che l’economia condizioni così fortemente le scelte esistenziali e formative dei nostri giovani?

In realtà, l’incoraggiamento a indirizzare il proprio curriculum scolastico verso percorsi di specializzazione tecnica o scientifica parte già alla fine del primo ciclo di istruzione, ovvero al termine della scuola secondaria di primo grado. I progetti di orientamento che vengono attivati nel corso della scuola dell’obbligo tengono certamente conto delle inclinazioni degli alunni, ma risentono anche inevitabilmente delle pressioni del mercato. Lo “sbocco lavorativo” fa da spartiacque tra ciò che è “utile” intraprendere e ciò che, invece, potrebbe rivelarsi “inutile” ai fini dell’accesso al mondo del lavoro e della propria realizzazione economica.

Sono soprattutto le famiglie a preoccuparsi delle prospettive occupazionali dei propri figli ed è comprensibile: completare gli studi e specializzarsi richiede un notevole investimento di tempo, energie e denaro.

Accade spesso, però, che il “miraggio” del lavoro facile renda superficiale l’approfondimento riguardo i contenuti delle discipline che il corso di studi selezionato prevede e che, invece, dovrebbe essere il perno della stessa scelta. Chi sceglie l’istituto tecnico ha realmente idea di quali materie si troverà a studiare? E chi sceglie il liceo scientifico?

Ai più confusi la scuola “sbagliata” presenta subito il conto: voti scadenti, inciampi, debiti, bocciature. Non è infrequente – e i dati diffusi negli ultimi anni da AlmaDiploma, associazione che si occupa di orientamento e occupazione, lo testimoniano -, che alla vigilia della maturità molti giovani si dichiarino delusi e demotivati rispetto al proprio corso di studi. Tra i diplomati del 2020, alla vigilia della conclusione degli studi secondari di secondo grado il 34,7% ha dichiarato che, potendo tornare indietro, compirebbe una scelta diversa: il 18,6% dei diplomati cambierebbe sia scuola che indirizzo, l’8,5% ripeterebbe il medesimo indirizzo/corso ma in un’altra scuola e un ulteriore 7,6% sceglierebbe un diverso indirizzo nella stessa scuola.

I diplomati meno convinti della scelta compiuta a quattordici anni risultano essere soprattutto quelli degli istituti professionali (61,1%).

Un vero peccato, perché poi a vent’anni rimettere completamente in discussione il proprio percorso non è così semplice.

Magari nei progetti di orientamento bisognerebbe tenere maggiormente in conto quello che viene definito il “capitale psicologico” dello studente, caratterizzato dalla combinazione di quattro risorse specifiche: autoefficacia, ottimismo, speranza e resilienza. L’autoefficacia corrisponde alla percezione di fiducia nel poter realizzare gli sforzi necessari per avere successo in un compito; l’ottimismo riguarda le aspettative future; la speranza coincide con la perseveranza verso un obiettivo e la capacità di reindirizzare e ricalibrare i propri sforzi costantemente; la resilienza consiste nella capacità di sostenere e riprendersi di fronte agli inevitabili ostacoli.

Lo studio, esattamente come altri aspetti dell’esistenza umana, dovrebbe essere un percorso di autorealizzazione, benessere e crescita personale più che una corsa verso le proiezioni statistiche della società capitalistica.

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Fonte: Sir