Sciascia, o dell’onestà intellettuale. Lo scrittore siciliano oggi avrebbe compiuto cent’anni

La sua libertà vera fu quella della ricerca di senso, che lui riteneva alla base di ogni altra strada.

Sciascia, o dell’onestà intellettuale. Lo scrittore siciliano oggi avrebbe compiuto cent’anni

Comunque vadano le cose, questa vita è stata degna di essere esplorata, parola di Leonardo Sciascia, che oggi avrebbe festeggiato i suoi cent’anni: “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”, l’iscrizione che lo scrittore siciliano volle sulla sua tomba, è una frase di Auguste de Villiers de L’Isle-Adam, che potrebbe benissimo calzare anche per un altro esploratore d’assoluto, l’Antonie de Saint-Exupery del “Piccolo principe”, che Sciascia conosceva bene. Parole che la dicono lunga sulla insufficienza delle classificazioni e le separazioni assolute tra agnostici e credenti e contro le quali ancora oggi l’autore de “Il giorno della civetta” avrebbe avuto molto da ridire. Se la sua visione della vita fu sicuramente influenzata dagli illuministi francesi e italiani, Manzoni fu un altro dei punti di riferimento della sua inesausta ricerca, che non escludeva l’esistenza dell’Altro: in una sua frase affermò che il gran lombardo aveva approfondito ciò che gente, pur razionale e agguerrita come l’illuminista Pietro Verri, non aveva fatto mai, gli abissi del cuore umano. Amava dire di essere, se mai, più vicino al Pascal della scommessa sull’esistenza di Dio, che in ogni caso rende più abitabile il senso della vita.

La sua stessa strada politica, dal Pci ai radicali fino al Partito Socialista di Craxi sta a dimostrare questa inclinazione verso la ricerca non fine a se stessa, ma come confronto con la realtà civile e politica, in quel caso il rapimento di Moro, la sua uccisione, il compromesso storico, la lotta al terrorismo.
La sua militanza politica non è quindi parente della ricerca di poltrone o di visibilità, ma a quella della democrazia occidentale, nello sforzo di armonizzare lotta al crimine e garanzie giuridiche. E fu per questo che venne attaccato quando denunciò presunte torture ai danni di terroristi durante le indagini e gli interrogatori.

Ma la sua libertà vera fu quella della ricerca di senso, che lui riteneva alla base di ogni altra strada. Per questo si è interessato ai problemi della fede sia attraverso le traduzioni, come quella di “Il procuratore della Giudea” di Anatole France, sia attraverso la narrativa, con “L’affaire Moro” e con quel singolare ibrido tra ricerca documentaria e racconto di fatti che è “La scomparsa di Majorana”, uscita nel 1975.
Qui più che altrove si vede come la ragione illuministica sia presa per mano dalla ricerca di senso: in questo caso i motivi che hanno spinto un trentunenne docente universitario e autentico genio (per stessa ammirata ammissione di Enrico Fermi) a sparire nel nulla. Sciascia è praticamente rapito da una meteora affascinante e misteriosa come quella del giovane siciliano ma soprattutto dall’ipotesi, avallata da alcune testimonianze, che Majorana si sia nascosto per sempre nella penombra di un convento.

Quando esce dal convento “indiziato”, lo scrittore di Racalmuto lascia stupiti tutti gli assertori del suo radicale ateismo: “Noi abbiamo vissuto una esperienza di rivelazione, una esperienza metafisica, una esperienza mistica”.
Comunque la si veda, aveva ragione l’autore forse da lui più amato, il conterraneo Pirandello: l’uomo non è mai uno solo, un monolite, ma cambia e si rinnova momento per momento. E non è un caso che Pirandello conoscesse bene la filosofia di Henri Bergson, uno che aveva contribuito ad affossare le pretese iper-materialistiche del determinismo naturalistico, che vedeva nell’uomo semplicemente una macchina. Pretesa demolita dalla stessa scienza, nella persona di chi aveva conosciuto e stimato il giovane Majorana: Heisenberg, uno dei padri della nostra fisica.
Tutto questo, Sciascia ce lo ha raccontato puntualmente. E onestamente.

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Fonte: Sir