Senza dimora a Padova. “Andare oltre l’emergenza e la logica del dormitorio”

Presentata questa mattina la ricerca “2020: Vivere senza dimora a Padova” condotta dall’Università di Padova, insieme a Csv e Comune. Sabato 17 ottobre la Notte dei senza dimora. L’assessore Nalin: “Durante l’emergenza sanitaria, l’accoglienza ha dato vita a importanti esperienze e reti di collaborazione”

Senza dimora a Padova. “Andare oltre l’emergenza e la logica del dormitorio”

Andare oltre la logica del dormitorio e dell’emergenza, superare la frammentarietà dei servizi e migliorarne l’accessibilità, formare volontari e coinvolgere maggiormente la cittadinanza. Sono queste le linee guida che emergono dalla ricerca “2020: Vivere senza dimora a Padova”, frutto del lavoro condotto dal Tavolo “Povertà e Nuove Emarginazioni”, istituito in occasione di Padova Capitale Europea del Volontariato, con l'Università di Padova, il Centro Servizio Volontariato e il Comune di Padova. La ricerca, curata dal Dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell'Università degli Studi di Padova, è stata presentata questa mattina in occasione della conferenza stampa di lancio della Notte dei senza dimora che si terrà sabato 17 ottobre, dalle ore 17.30, ai Giardini dell’Arena e come tutti gli anni in occasione della Giornata Mondiale della lotta alla povertà, per sensibilizzare sul tema della povertà estrema e dell’emarginazione sociale. “I frutti che stanno emergendo dai tavoli di lavoro di Padova capitale europea del volontariato sono straordinari - ha ricordato Emanuele Alecci, presidente del Csv di Padova -. Tutte le organizzazioni che stanno partecipando a questi percorsi confermano come l'anno da capitale europea si stia dimostrando una occasione per mettere a sistema proposte e progettualità finora rimaste parcellizzate. Il rapporto sulle persone senza dimora è un esempio dei risultati che nelle prossime settimane tutti i 7 tavoli di lavoro consegneranno alla collettività”.

La ricerca è stata condotta a cavallo dell’emergenza sociale da Covid-19 (il questionario è stato somministrato tra il 15 maggio e il 3 luglio 2020) e oltre al profilo dei senza dimora che vivono nella città di Padova, ha raccolto indicazioni e suggerimenti tra le diverse organizzazioni che si occupano del tema nella città. “Le settimane di lockdown hanno rappresentato una opportunità per vedere nel concreto nuove modalità di pensare all’accoglienza - ha affermato Mirko Sossai, coordinatore tavolo Povertà e Nuove emarginazioni -. Come emerge anche dal rapporto, oltre all'emergenza, risulterà cruciale valorizzare il momento di accompagnamento di queste persone verso un futuro di autonomia grazie all'attivazione di reti di prossimità. La notte dei senza dimora rappresenta una importante occasione per sensibilizzare la cittadinanza su queste tematiche”. A sottolineare le buone prassi vissute durante il lockdown anche Marta Nalin, assessore al sociale del Comune di Padova. “Nei mesi in cui tutta Italia era chiusa in casa per via dell’emergenza sanitaria, l’accoglienza delle persone senza dimora ha dato vita a importanti esperienze e reti di collaborazione, come ad esempio Casa Arcella, che non solo sono state capaci di individuare soluzioni virtuose, ma hanno a mio parere indicato la strada maestra per tutte le nostre azioni - ha affermato l’assessore -. Sinergie tra molti attori, del pubblico e del privato, per costruire percorsi collettivi capaci di dare risposte concrete”.Alla ricerca hanno partecipato 156 persone senza dimora e 16 diverse organizzazioni. “Abbiamo voluto prima di tutto delineare un profilo - ha spiegato Marta Gaboardi, ricercatrice presso il Dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione di Padova e tra le curatrici dello studio coordinato dal professor Massimo Santinello -. Nella nostra ricerca i dati confermano il profilo delineato dall’Istat: la maggior parte delle persone sono uomini, l’86%. con un 45% di stranieri e un’età media che va dai 40 ai 60 anni”. Dai dati raccolti, inoltre, emerge che il 57,4% dichiara di essere celibe/nubile, il 12,9% è coniugato/a, il 27,7% separato/a odivorziato/a. Solo una persona è vedova e 2 risposate. Il 58,4%, inoltre, dichiara di non avere figli. Tra le persone straniere, il 63,5% possiede il permesso di soggiorno: per l’81,5% è valido mentre per le altre è scaduto o in scadenza. Riguardo al titolo di studio, la maggior parte dei partecipanti ha la scuola dell’obbligo. Per quanto riguarda lo stato di salute, il 25,6% dichiara di aver subito interventi chirurgici negli ultimi 10 anni, il 43,6% prende farmaci ogni giorno, mentre il 23,7% dei partecipanti è stato in ospedale per problemi di salute nel mese precedente. Il 44,9% delle persone, inoltre, dichiara di avere un disturbo fisico o una qualche disabilità, mentre il 14,1% dichiara di avere un problema di dipendenza o abuso di sostanze. La ricerca, tuttavia, ha voluto fare luce anche su un aspetto poco indagato, ovvero il tema delle risorse. “Il dato un po’ diverso dalle altre ricerche è quello di aver cercato di capire quali risorse hanno le persone che si rivolgono ai servizi - ha aggiunto Gaboardi -. E il dato che ci sorprende è che il 74% delle persone intervistate, che certamente non rappresenta tutto il campione, percepisce una qualche forma di entrata economica, che può essere il Reddito di cittadinanza, ma anche altri tipi di sussidi. Solo l’8% dichiara di vivere solo di elemosina”. Dalla ricerca, infatti, emerge che “la maggior parte percepisce il reddito di cittadinanza - si legge nel dossier -, mentre il 17,3% dichiara di non avere nessuna entrata economica. Complessivamente, escludendo l’elemosina, il 74,4% delle persone percepisce una qualche forma di entrata economica”. Tra i dati raccolti, anche quelli sulle competenze lavorative. “Solo il 6,5% delle persone dichiara di non possedere alcuna competenza lavorativa”, spiega lo studio.Dalle voci delle organizzazioni coinvolte, inoltre, emerge la necessità di fare chiarezza su alcuni punti, soprattutto durante questo periodo di pandemia. “C’è un clima di incertezza su come comportarsi soprattutto perché stiamo parlando di accoglienza di gruppo - ha aggiunto Gaboardi —. Qualora si verifichi un caso positivo al Covid è difficile poter sistemare e isolare il caso perché si è in strutture con tanti posti. Da qui emerge uno dei punti della ricerca, che poi diventa anche una linea guida ovvero quello di andare un po’ oltre alla logica del dormitorio e l’esigenza di cercare un accoglienza un po’ più individualizzata facendo un percorso più mirato con la persona”. Tra le indicazioni raccolte dai ricercatori, l’esigenza più pressante è quella di “avere dei protocolli chiari su come comportarsi rispetto all’emergenza sanitaria - ha spiegato Gaboardi -. L’altra esigenza forte è quella di avere uno spazio diurno per le persone. L’esperienza del Covid ha insegnato qualcosa. Alcune accoglienze si sono trasformate dall’essere solo notturne a diurne, perché le persone non avevano una casa. Si sono aperte accoglienze anche di giorno e si è visto come le persone, se messe in un contesto dignitoso, cambiavano anche fisicamente. Queste sono le cose su cui bisognerebbe puntare di più nell’immediato”. Ora, l’obiettivo è quello di dar seguito alle raccomandazioni raccolte tra gli operatori dei servizi e le organizzazioni. Un percorso già avviato, come spiega la stessa Gaboardi: “Stiamo collaborando con l’amministrazione per capire come declinare queste linee guida in vere e proprie proposte operative e cambiamenti a breve, medio e lungo termine”.(ga)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)