Servizio civile, Antonini: "Grande palestra di educazione al bene comune"

INTERVISTA al giudice della Corte Costituzionale Luca Antonini. "L’educazione al bene comune è quello che forma il cittadino in grado di essere un protagonista della vita sociale, economica e politica del nostro Paese"

Servizio civile, Antonini: "Grande palestra di educazione al bene comune"

Il servizio civile "volontario" nato nel 2001, aperto subito dopo quello militare alle donne, e dal 2015 anche ai giovani stranieri, è stato capace di cogliere e a volte anticipare i cambiamenti della società e di offrire ai giovani una "palestra", in cui esercitare la difesa di valori comuni. In occasione dei 20 anni dalla promulgazione della legge delega n. 64 che lo ha istituito, Redattore sociale ha chiesto a Luca Antonini, giudice della Corte Costituzionale, di ripercorre i passaggi legislativi fondamentali che hanno aiutato a definirne l'identità.  A partire dal richiamo diretto al principio Costituzionale della "difesa della patria".

La Corte Costituzionale, soprattutto con due importanti sentenze nel 2004 (n. 228/229) e nel 2015 (n. 119), in questo periodo ha aiutato a ridefinire il servizio civile e a dargli un'identità sua propria, ancorandolo all'essenza di alcuni valori costituzionali di fondo. Quali sono, a suo avviso, quelli maggiormente significativi e che ci possono ancora oggi aiutare a comprenderlo meglio?
Possiamo ripartire dalla sentenza n. 228/04 perché in quella sentenza c’è una definizione particolare dei doveri di cui parla la Costituzione, che non nascono dall’imposizione di un’autorità, ma vengono definiti come doveri di solidarietà. È interessante perché la Sentenza esplicita il passaggio, che poi verrà detto con più chiarezza nella giurisprudenza successiva, che i doveri di cui parla la Costituzione non sono i vecchi doveri ottocenteschi di “soggezione”, a cui era tenuto il suddito, ma sono doveri di solidarietà, che è il grande valore in cui si inserisce anche il servizio civile, cioè riconducibile a una libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa. Il cuore diventa questa “profonda socialità”, che era estranea all’ambito dei vecchi doveri. Da questo punto di vista la radice è riferibile in fondo anche al dovere di difesa della patria, che può includere, proprio perché ha questa caratteristica, anche il servizio civile. Per me è questo l’aspetto fondamentale, perché fa capire anche una ulteriore dimensione che è certamente attuale, quella per cui diritti e doveri nell’impianto della Costituzione sono lati di una stessa medaglia. I diritti e i doveri stanno insieme, non potrebbero esistere i diritti se non ci fossero i doveri, c’è un nesso strettissimo.
Non è un caso che proprio nell’art. 2 della Costituzione troviamo l’affermazione dei diritti inviolabili, sia come singolo che nelle formazioni sociali (e già questo rompe il carattere individualistico dei diritti) e richiede, nello stesso tempo, l’adempimento dei doveri inderogabili, che poi si specificano nel testo costituzionale in quello tributario, di rispettare le leggi e di difendere la patria.
L’attualità è in questa concezione del dovere come dovere di solidarietà e non più di soggezione. C’è la persona nella costituzione, non il suddito, connotata dalla sua profonda socialità. È la persona reale che vive dentro la società, e che si compie e realizzano questa sua profonda socialità, fatta di diritti e di doveri. So che i diritti sembrano più attraenti e i doveri invece sembrano tristi, in realtà, se riflettiamo bene sulla nostra esperienza, anche i doveri hanno un forte appeal perché permettono di realizzare la nostra personalità, perché questa si compie appunto assumendo la responsabilità del contesto in cui si vive.
Anche la sentenza del 2015 è molto importante perché lì si specifica la difesa della patria può avvenire anche con un’altra forma di difesa, che si traduce nella prestazione di servizi rientranti nella solidarietà e nella cooperazione a livello nazionale e internazionale. Ciò appare in coerenza con questa evoluzione del concetto di difesa della patria, intesa come dovere di solidarietà e non più di soggezione È interessante l’idea che questa solidarietà, che si concretizza nello svolgere servizi di assistenza sociale, di protezione civile, ambientale, culturale, ecc., che poi sono gli ambiti in cui si svolge il servizio civile, sia definibile come una forma di difesa della patria. È molto attuale questa immagine, per cui la difesa della patria non si realizza solo con le armi, ma anche altri strumenti, come appunto quelli dei mondi in cui si esplica il servizio civile.

Il richiamo diretto al principio Costituzionale della "difesa della patria", ripreso anche nel 2016 con la riforma del servizio civile universale, può sembrare oggi, soprattutto per quei giovani che scelgono di svolgere questa esperienza, come un concetto "lontano". Quanto invece a suo avviso è attuale quel principio e quali i campi - se ci sono - in cui ancora non lo si attua o lo si coglie in pieno (pensiamo ad esempio cosa possa significare oggi in tempo di pandemia)?
La pandemia che stiamo attraversando mette in evidenza la necessità della solidarietà. La difesa del virus è arrivata anche da tanta solidarietà, da tanta gente che è andata oltre quello che era tenuta a fare, quindi da una solidarietà viva e operante: dagli infermieri ai volontari, a tutti coloro che sono stati impegnati in attività di assistenza. Da questo punto di vista penso che il servizio civile sia una grande palestra di educazione al bene comune, cioè alla tensione al bene comune. E di questa educazione c’è bisogno in tutti gli ambienti, in cui viviamo: da quello del lavoro a quello anche della politica. Cioè l’educazione al bene comune è quello che forma il cittadino in grado di essere un protagonista della vita sociale, economica e politica del nostro Paese. Da questo punto di vista penso che occorrano delle palestre e penso che una di queste possa essere il servizio civile.
Il servizio civile "volontario" nato nel 2001, aperto subito dopo quello militare alle donne, e dal 2015 anche ai giovani stranieri, è stato capace in questo senso di cogliere, se non di anticipare, alcune innovazioni della società. Tuttavia le leggi lo collocano a cavallo di molti mondi (pubblico/privato, lavoro/volontariato, Stato/Regioni), vivendone le contraddizioni e le tensioni. Cosa potrebbe aiutare, a suo parere di Giudice della Corte Costituzionale, a dirimere questi nodi e a svilupparne le potenzialità? E in quale direzione?
La Corte Costituzionale ha risolto alcune problemi di fondo che c’erano, a partire dalla questione della competenza statale o regionale a disciplinarlo, ribadendo come sia riconducibile alla difesa della patria e quindi rientri nella competenza esclusiva dello Stato. Nello stesso tempo ha chiarito che quando questo servizio civile si declina con attività che coinvolgono materie di competenza regionale come l’assistenza sociale, occorre la reale collaborazione. Ha anche precisato che le Regioni possono attuare proprie forme di servizio civile regionale, che però sono una cosa diversa da quello nazionale, l’unico collegato al dovere di difesa della patria. Ha poi risolto altre questioni specifiche, come il tentativo di una regione di estendere l’esenzione fiscale Irpef ai compensi dei volontari regionali, cosa non consentita. Dal punto di vista giuridico mi sembra che il servizio civile ormai dopo questi numerosi chiarimenti conviva bene nell’attuale pluralismo istituzionale. Dal punto di vista culturale credo che sia ancora molto da riscoprire: come detto il servizio civile può essere una palestra per l’educazione al bene comune. E questo è la dimensione che forse può maggiormente permettere di cogliere l’attualità che ha oggi questo istituto.

Francesco Spagnolo

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)