Servizio civile, attivo il 76 per cento dei volontari in quasi 9 mila sedi

I dati del report diffuso dal Dipartimento per le Politiche giovanili e il SCU. Sono 23.575 gli operatori volontari attivi in Italia, su un totale di 30.761. La maggior parte di essi (9.680) sta svolgendo le proprie attività “da remoto”, 7.523 hanno ripreso in modalità “sul campo”. Possibilità di gemellaggi con enti non accreditati

Servizio civile, attivo il 76 per cento dei volontari in quasi 9 mila sedi

Sono 23.575 gli operatori volontari del Servizio Civile Universale (SCU) che sono attivi in tutta Italia, in questo giorni di emergenza coronavirus, su un totale potenziale di 30.761 selezionati. Si tratta quindi del 76%, mentre le sedi attive (8.923) sono il 62% del totale potenziale. Il dato è stato comunicato oggi in un Report diffuso dal Dipartimento per le Politiche giovanili e il SCU, che segnala anche come siano “902 gli enti (l’80% del totale) che, fatte le opportune valutazioni e sentiti gli operatori volontari, hanno fornito le informazioni richieste e, rispetto alle comunicazioni ricevute, il 72% dei progetti risulta riattivato con procedura ordinaria o rimodulata, a fronte del 28% per i quali è stato necessario prevedere un’interruzione temporanea”. Attualmente quindi sono “5.692 operatori volontari già in servizio che hanno dovuto fermarsi di fronte all’impossibilità di proseguire il proprio servizio nei progetti in cui erano impegnati, mancando le sufficienti condizioni di sicurezza o gli strumenti organizzativi ed operativi necessari a ripartire”.

Entrando più in dettaglio nei numeri emerge che, per quanto riguarda i giovani in servizio, 13.044 (il 55%) hanno ripreso le proprie attività sospese così come erano sostanzialmente  previste nei progetti originari, mentre 10.531 (il 45%) sono impegnati in progetti che hanno subito una rimodulazione rispetto alle modalità individuate per la ripresa delle attività.

La maggior parte di essi, 9.680, sta svolgendo le proprie attività “da remoto”, 7.523 volontari hanno ripreso in modalità “sul campo”, mentre 6.372 sono in modalità “mista”, ossia che le contempla entrambe.

In questa fase di emergenza è stato permesso agli enti di attivare anche “gemellaggi” con enti non accreditati, pubblici o del Terzo settore: “sono state individuate così – spiega il Dipartimento - 1.243 ulteriori sedi per l’attuazione delle attività, che vedono coinvolti 4.032 volontari. Tale circostanza rappresenta una novità assoluta nel panorama del servizio civile e nasce dall’esigenza di fronteggiare al meglio la situazione di emergenza, facendo ancora di più ‘sistema’. Questo dato, forse più di tutti e simbolicamente, meglio rappresenta il risultato dell’enorme impegno profuso da parte di tutti gli attori del sistema del servizio civile universale (Dipartimento, Regioni e Province autonome, enti di servizio civile, Rappresentanza dei volontari e volontari stessi) che hanno voluto aprirsi anche a soluzioni nuove che si sperimenteranno in corso d’opera”.

Quasi la metà dei volontari risulta inoltre in servizio su nuove attività, “tra le quali risultano prevalenti – commenta il Dipartimento - quelle particolarmente significative nell’attuale contesto emergenziale: dal supporto ai comuni e ai centri operativi comunali di protezione civile (oltre il 10% del totale) al sostegno al sistema scolastico (7,2%), dalla realizzazione di progetti educativi o culturali (4,5%), ripensati alla luce delle nuove necessità dettate dall’emergenza, all’assistenza sociale (7,3%) e al cosiddetto ‘welfare leggero’ (8,2%), ossia interventi di assistenza alle persone anziane e ai soggetti più fragili in tutte quelle attività quotidiane per le quali non possono far fronte da sole in questo momento”.

Il Dipartimento infine riferisce anche sui 537 volontari impegnati in progetti all’estero e su quelli attivi nei Corpi civili di pace, che “viste le peculiarità e la complessità della situazione internazionale sono stati gestiti differentemente. La maggior parte di essi sono stati costretti a rientrare in Italia a causa dell’emergenza, per diversi motivi: impossibilità di garantire continuità alle attività, condizioni di sicurezza nel Paese ospitante non adeguate, preoccupazione per la risposta in emergenza dei locali sistemi sanitari”. Per appena poco più della metà di loro però, ossia 225, è stato possibile continuare il servizio, e di questi solo 84 all’estero. “Per gli altri prevalentemente si è dovuta scegliere la strada dell’interruzione temporanea mentre per alcuni è ancora in corso di definizione l’esito dell’attività ricognitiva che porterà alla scelta definitiva”, chiarisce il Dipartimento.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)