Sindrome di Down, "il bisogno è sociale, più che assistenziale"

I primi dati dell'indagine di Censis e Aipd sulla presa in carico delle persone Down per il perseguimento del miglior stato di salute e la loro piena integrazione sociale. 1.200 caregiver intervistati in tutta Italia. Sempre più diagnosi durante la gravidanza. Parenti e amici sono il principale supporto per il 35% degli intervistati. Quasi la metà degli over 44 non fa nulla e “sta a casa”

Sindrome di Down, "il bisogno è sociale, più che assistenziale"

Quando viene meno la scuola, c'è spesso il nulla e non resta che “stare a casa”: è la realtà che vive quasi il 50% delle persone adulte con sindrome di Down, specialmente al Sud e nelle isole. Poco più del 13% ha un lavoro con un regolare contratto, e solo il 35% di tutti coloro che hanno una qualche attività lavorativa percepisce uno stipendio regolare. Il bisogno e la richiesta delle famiglie sono di ordine sociale, più che medico-assistenziale: educazione all’autonomia e alla vita indipendente sono le principali richieste d'intervento delle famiglie. Sono i primi dati emersi dall'indagine “Non uno di meno. La presa in carico delle persone con sindrome di Down per il perseguimento del miglior stato di salute e la loro piena integrazione sociale”, condotta dal Censis insieme ad Aipd. Da marzo a maggio, quasi 1.200 questionari sono stati compilati e raccolti su tutto il territorio nazionale, presso le famiglie delle persone con sindrome di Down. Sabato 25 giugno saranno presentati dalla responsabile Area salute e welfare del Censis , Ketty Vaccaro, i primi risultati, in occasione del seminario “Non uno di meno”, rivolto ai Presidenti e agli operatori delle sezioni Aipd che stanno partecipando alle attività del progetto. Il seminario segna l’avvio ufficiale dei lavori di formazione previsti dall’iniziativa. Ed eccone una sintesi.

Caregiver, la percezione e l'impatto sul lavoro

Un primo dato interessante riguarda la percezione del livello di disabilità da parte del caregiver: con l'aumentare dell'età della persona con sindrome di Down, aumenta anche il livello di gravità percepito. Oltre i 45 anni, la disabilità viene percepita come grave dal 20,9% degli interessati e come molto grave dal 18,6%, con una netta impennata rispetto alla fascia d'età 25-44, quando la disabilità è percepita grave dall'8,2 % e molto grave appena dall'1%. “E' un primo segno di come manchino servizi, supporti e in generale risposte soprattutto per gli adulti con sindrome di Down”, commenta Anna Contardi, coordinatrice nazionale di Aipd, che ha seguito l'indagine. “E questo indica una strada alle istituzioni e a noi associazioni”.

Altro dato interessante riguarda l'impatto della sindrome di Down sul lavoro del caregiver: risulta infatti che il 25,9% delle caregiver donna ha ridotto il lavoro (es. part-time), mentre il 20,4% ha lasciato il lavoro o lo ha perso.

La diagnosi precoce e i supporti più preziosi

Riguardo la diagnosi, sempre più spesso questa viene comunicata ai genitori fin dalla gravidanza e risulta, questa, una nuova conquista: ben il 46,4% dei genitori dei bambini tra 0 e 6 anni ha ricevuto la diagnosi prima della nascita del figlio, a fronte dell'appena 1.5% dei genitori tra i 25 e i 45 anni. “Merito del progresso della medicina e della diagnostica, ma anche segno importante della volontà di molti genitori di portare avanti la gravidanza anche dopo aver appreso la notizia e della mutata immagine delle persone con SD nella nostra società”, commenta ancora Contardi.

Alla domanda su quali siano “le cose che più hanno aiutato i genitori ad affrontare positivamente la situazione nei primi tempi”, la scelta ricade per lo più (circa il 40%) sul supporto relazionale di genitori, parenti e amici e sono le Associazioni (72%) la principale fonte di informazioni per le famiglie che ribadiscono l’importanza di sempre maggiore informazione nella società.

Dove vivono e cosa fanno

Riguardo il contesto di vita, è da notare come solo l’1,2% del campione viva in una struttura residenziale, mentre la stragrande maggioranza abita nella propria casa.

“La famiglia rimane il soggetto centrale della presa in carico, a fronte di interventi molto parziali e concentrati su ambiti ed età specifici”, afferma Ketty Vaccaro, responsabile dell’area salute e welfare del Censis che ha realizzato la ricerca. “E non è un caso che il modello di convivenza di gran lunga prevalente passi, al crescere dell’età, dalla famiglia con genitori e altri fratelli a quello dove ci sono soltanto i genitori o solo uno, mentre sono poi chiamati in causa anche i fratelli, con cui vive il 26,1% degli over44enni. Una famiglia, talvolta sola, spesso disorientata, che indica tra le difficoltà maggiori quella di dover cercare autonomamente i servizi a cui rivolgersi e che denuncia la carenza sociale di informazioni corrette sulla sindrome di Down”.

Ma “cosa fanno le persone con sindrome di Down”? La risposta a questo interrogativo varia a seconda della fascia d'età. Nello specifico, col passare degli anni, aumenta il tempo trascorso in casa o nel centro diurno. Fino a 14 anni, oltre il 90% del campione frequenta la scuola, mentre tra 25 e 44 anni il 39,3% lavora, il 24,3% frequenta un centro diurno e il 27,6% sta a casa. La situazione si aggrava dopo i 44 anni, quando appena il 9% lavora, il 41,3% frequenta un centro diurno, ma ben il 44,8% “non fa nulla” e sta a casa. Indipendentemente dall'età, la tendenza a “stare a casa” è prevalente al Sud, dove riguarda ben il 33% del campione, a fronte dell'8,8% che dichiara di stare a casa nelle regioni del Nord Est.

La scuola, i servizi e il lavoro

Per quanto riguarda la scuola, le difficoltà dell'inclusione vengono indicate soprattutto nella scarsa preparazione degli insegnanti curricolari (è questa la risposta prevalente, soprattutto quando si parla della fascia 15-24 anni), ma anche degli insegnanti di sostegno, specialmente dal campione tra 15 e 24 anni. E' nelle scuole superiori, evidentemente, che la scuola inizia a mostrare maggiori carenze nell'offerta formativa e inclusiva per gli studenti con disabilità .

“La scuola rimane una grande opportunità di inclusione sociale, ma si traduce spesso in una occasione mancata. A conclusione del percorso scolastico e più in generale con il passaggio all’età adulta, si perdono i riferimenti e sfumano le opportunità, sia sul fronte dell’inserimento lavorativo che è ancora per pochi (15,8% degli over 15enni) che sul fronte delle relazioni con gli altri, dal momento che la frequentazione consueta ed informale con gli amici, al di fuori di occasioni definite, è ancora una rarità”, commenta Ketty Vaccaro.

La disponibilità di servizi dedicati è a macchia di leopardo: risultano presenti per il 63% degli intervistati a nordest, a fronte del 34% a sud e nelle isole. E’ ancora molto carente la disponibilità di servizi dedicati alle persone con disabilità intellettiva nelle ASL. Le terapie abilitative/riabilitative a cui ci si rivolge sono soprattutto neuro e/o psico-motricità e logopedia (oltre l'80% nella fascia 0-6 anni) mentre, di nuovo, sembra esserci pressoché nulla per gli over 44: appena il 7,9% ha accesso a una terapia occupazionale e il 3,8% alla psicoterapia.

La vita sociale e affettiva

La vita sociale si esprime per lo più in attività strutturate, mentre risulta molto difficoltosa nelle attività informali: oltre il 50% non riceve mai amici e non va a casa di amici, oltre il 60% non esce mai con amici. Ma quasi il 90% partecipa ad attività sportive o simili. Il 24,4% ha una vita relazionale affettiva e il 2.5% ha una relazione sessuale, percentuale quest'ultima che sale a 4,3% tra i 25 e i 44 anni: “Segno che i tempi stanno cambiando e che ci stiamo lasciando alle spalle quella visione 'angelicata e asessuata' delle persone con sindrome di Down che ha caratterizzato il passato”

Riguardo il lavoro, il 13,3% del campione ha un contratto da dipendente o collaboratore: il 35% di questi percepisce un compenso minimo, il 35% un compenso normale.

Difficoltà e proposte

In generale, le difficoltà principali incontrate dalla famiglia riguardano l'integrazione nella scuola e nella società (51%) e la fatica di orientarsi tra i servizi sociali e sanitari (48%).

Molto significativi i dati sulle proposte d'intervento: la scelta ricade per lo più su progetti di educazione all'autonomia e alla vita indipendente (47,9%), sull'offerta di servizi per il tempo libero (42,3%) e su politiche d'inclusione lavorativa (35,5%) e presa in carico complessiva della persona (33,8%). In continuità e coerenza con questo dato, c'è quello relativo a “la cosa più importante che dovrebbe fare la società per le persone con sindrome di Down”: ben il 53,3 chiede di “promuoverne l’autonomia e l’inserimento sociale e lavorativo”, mentre appena il 4,6% domanda di “migliorare e potenziare i servizi medici e riabilitativi”. Segno evidente che “la domanda e il bisogno sono sociali, più che assistenziali – commenta e conclude Anna Contardi – Un dato che dovrebbe far riflettere le istituzioni sulle politiche da attuare e noi organizzazioni sul nostro ruolo e i nostri compiti per il futuro”.

Commenta così Gianfranco Salbini, presidente nazionale di Aipd: “L’indagine mette in risalto le reali condizioni delle persone con sindrome di Down ed evidenzia in tutti gli ambiti quali siano le condizioni ottimali e quali le esigenze da attuare per rendere la vita sempre più sostenibile e dignitosa. E' necessario lavorare su un’istruzione sempre più adeguata, perseguire l’inserimento lavorativo e completare il percorso di autonomia con la vita indipendente.. La ricerca ci indica quali percorsi intraprendere e quali strumenti fornire per migliorare la condizione sociale delle persone con sindrome di Down.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)