Singolari coincidenze. 120 anni dopo, tra il “diario” di Jack London e gli otto discorsi di papa Francesco ci sono diversi punti di contatto

Non sempre i romanzi inventano la realtà: a volte la descrivono, e ci insegnano come salvare il nostro pianeta.

Singolari coincidenze. 120 anni dopo, tra il “diario” di Jack London e gli otto discorsi di papa Francesco ci sono diversi punti di contatto

Oggi vorremmo tornare su un argomento di cui abbiamo parlato recentemente, ma che è importante per capire come la letteratura non sia sempre e solo evasione: i rapporti tra la denuncia-speranza del pontefice, raccolta nel recente “La vita dopo la pandemia” e quella, lontana nel tempo, di un singolare (e tremendo, per le ragioni che vedremo) racconto-diario di Jack London, “Il popolo degli abissi”. Chi fosse abituato alle avventure di Zanna bianca e Martin Eden potrebbe pensare di aver sbagliato autore, perché qui London dismette apparentemente i panni dell’avventuriero-esploratore d’assoluto e sceglie di narrare quello che Marx avrebbe chiamato sottoproletariato. Se ne va a vivere in una stamberga dell’East-London, cambia i suoi panni di agiato yankee in quelli di un disoccupato, e gira per i vicoli di quella che era la zona più misera e malfamata della capitale. Nonostante le diversità dei punti di vista e delle condizioni epocali, tra il “diario” di London e gli otto discorsi di Francesco ci sono diversi punti di contatto. Uno ci sembra appartenere ad un lontano passato, e invece è attualissimo: riguarda i lavoratori ambulanti, ad esempio i venditori di giornali.

“Voglio allora salutare il mondo dei giornali di strada e soprattutto i loro venditori che sono per la maggior parte homeless, persone gravemente emarginate, disoccupate”, scrive Francesco nella sua Lettera al mondo dei giornali di strada del 21 aprile; London, da parte sua, annuncia che, in una Londra in cui i polmoni della povera gente sono assediati da qualcosa come ventiquattro tonnellate di “fuliggine e idrocarburi catramosi” che si depositano ogni settimana in un solo miglio, per non parlare dell’acido solforico respirato dai lavoratori, “è nata una nuova razza di persone che vivono per strada. Trascorrono la loro vita a lavoro e per la strada”. Non solo, ma in una zona urbana dove di per sé la vita è più breve, per gli stenti, di quanto non sia nella West-London, “i venditori ambulanti, una categoria di lavoratori che più delle altre vive alla giornata, registrano la più elevata percentuale di ricoveri nei manicomi”. Tra questi, ci sono quelli che facendosi largo anche con la forza in mezzo ad una massa di “concorrenti” affamati, “aprono le carrozze” dei signori che magari vanno a teatro, e vendono, o almeno tentano di farlo, i giornali.

Come si vede, non è che le cose dal 1902 siano molto cambiate: se mai, ad essere cambiate sono le geografie degli “abissi” e le modalità del rischio-miseria. L’Inghilterra narrata da London, per esperienza diretta ma anche con statistiche e tabelle alla mano, era una potenza economico-coloniale, ma la sua popolazione meno fortunata era sottoposta alle conseguenze delle periodiche crisi che investivano il mondo del post-industrializzazione. Centinaia di migliaia di poveretti in una città di già sei milioni di anime, morivano di fame, e non è un modo di dire. Francesco, un secolo dopo, non guarda solo al presente delle vittime del virus, ma anche ad un futuro incerto, in cui le leggi del mercato, ormai sovrane a livello planetario, rischiano di essere travolte dalle loro medesime conseguenze.

È singolare notare che, centoventi anni fa, la gente, la povera gente soprattutto, moriva per avvelenamento e per insufficienze respiratorie causate dalla produzione industriale. E purtroppo di malnutrizione o di mancanza di cibo. Il problema quindi viene da lontano, e non è stato mai affrontato seriamente, almeno a guardare i risultati. Il pontefice oggi, e uno scrittore imbevuto di idee assai lontane, di Darwin, Nietzsche, Marx, ma anche, come scrive lui, della “semplice sociologia di Cristo” ieri, ci raccontano di una povertà passata, presente e forse, purtroppo, anche futura, dovuta non solo al destino cinico e baro, ma alla scarsa cura della casa in cui tutti noi siamo nati: la terra.

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Fonte: Sir