Smart working e disabilità, dal 30 giugno tutti in presenza? L'appello e il racconto

Il 30 giugno scadono le tutele in tema di smart working per i lavoratori disabili e i genitori di figli con disabilità grave. Falabella: “Una conquista importante, diventi opportunità stabile”. Il racconto di una lavoratrice cieca: “Lavorare da casa, senza l'aiuto dei colleghi, all'inizio è stato molto difficile, poi mi sono abituata. Ora si torna, ma non come prima: la postazione va prenotata e la presenza è a turni: così perdo la mia autonomia. E tutto diventa impersonale”

Smart working e disabilità, dal 30 giugno tutti in presenza? L'appello e il racconto

Il 30 giugno scadono le tutele in tema di smart working per i lavoratori disabili e i genitori di figli con disabilità grave. “Vista la ripresa dei contagi, con andamento discontinuo e non prevedibile, occorre mantenere queste misure, evitando proroghe di mese in mese, che hanno l'effetto di creare scoperture temporali tra i vari passaggi di proroghe”: è l'appello di Vincenzo Falabella, presidente della Fish, che Redattore Sociale ha interpellato a pochi giorni dalla scadenza che segnerà – o dovrebbe segnare – il ritorno in presenza anche per i lavoratori con disabilità o caregiver. “Abbiamo pertanto già attivato alcune interlocuzioni con i ministeri competenti e con i ministri appropriati e gli uffici preposti, affinché tale beneficio possa essere prorogato almeno fino alla fine dell'anno. Ma sarebbe bene cominciare a valutare fin da ora la possibilità , una volta terminata completamente la pandemia, di continuare ad usare comunque questi istituti per i prossimi mesi, come occasione per costruire modelli applicativi da portare nel quadro post-pandemico, di modo che si possa migliorare la qualità di vita reale dei lavoratori con disabilità”.

Il racconto di Stefania: dall'ufficio allo smart working al “coworking”

Lavoratori con disabilità che hanno vissuto con fatica e difficoltà l'adattamento alla modalità da remoto, quando questa si è improvvisamente imposta. E che ora guardano con preoccupazione a un ritorno in presenza, laddove questa presenza ha, nella maggior parte dei casi, è e sarà completamente trasformata. Ce ne parla Stefania Leone, che ha perso la vista a causa di una retinite pigmentosa, tra i 21 e i 29 anni. E da oltre 25 anni lavora come informatica in un'azienda privata del settore software ed è segretaria generale dell'associazione disabili visivi. “Sono analista programmatore e mi occupo anche di testing di accessibilità digitale. - ci racconta - Lavoro da 27 anni in quest'azienda, i primi 25 in presenza. Sono sempre stata una lavoratrice contenta: un ottimo ambiente ha fatto sì che per me andare a lavoro fosse bellissimo, garantendomi una situazione completamente inclusiva. Non mi sarei aspettata che il 13 marzo 2020, dopo 25 anni di lavoro, cambiassi completamente stile di vita. Mentre tornavo a casa in taxi, come aveva disposto l'azienda per via del sopraggiunto lockdown, avevo addosso una brutta sensazione: io vivo da sola e l'idea di stare chiusa in casa, pur con tutte le tecnologie e gli ausili, mi spaventava. Avrei dovuto gestire da sola le difficoltà di accessibilità e i blocchi tecnici, per cui il supporto dei colleghi è sempre stato fondamentale. Sentivo che mi sarei trovata da sola a risolvere ogni problema, dalle videoconferenze ai collegamenti online, dall'attivazione del cosiddetto Vpn ai sistemi di sicurezza, alla gestione dei cellulari e dei computer aziendali”.

Oggi, a distanza di oltre due anni, Stefania si è abituata e il rientro in ufficio la preoccupa. Perché? “Perché non si torna in azienda come prima, ma tutto è completamente cambiato. Da qualche mese la mia azienda, come molte altre, ha attivato un progetto sperimentale di rientro graduale, con una sorta di sperimentazione di rientro a scaglioni, in cui si dividono i gruppi in diverse zone dell'azienda. Non esiste più la stanza né la postazione personale, ma bisogna prenotare un posto tramite una app, in un nuovo sistema di coworking che ha preso decisamente piede, grazie al guadagno che le aziende, soprattutto quelle informatiche, hanno trovato nell'eliminare prima, ridurre poi, le presenze in ufficio. Tenere un certo numero di lavoratori a casa permette di risparmiare, senza diminuire produzione e ricavi. Noi lavoriamo molto, anche da casa: realizzando progetti di gruppo, è impossibile nascondersi e siamo tutti controllati e controllabili. Così, un anno e mezzo fa, ci è stato chiesto di liberare le nostre postazioni, perché la sede sarebbe stata dimezzata e una parte degli stabili rilasciati, con notevole risparmio su affitto, utenze manutenzione. Così, anche quando si tornerà 'a regime', non sarà davvero a regime, perché i posti per tutti non ci sono più. Io vivo con molto disagio l'idea di andare in ufficio prenotando una postazione, tramite un'app discutibilmente accessibile, discutibilmente funzionante, per sedermi a una postazione anonima che non è mai la stessa. Naturalmente mi accompagneranno i colleghi, perché ho un buon rapporto con loro, ma questo significa che non avrò più l'autonomia che ho sempre avuto nell'arrivare alla mia postazione. Ora avrò una postazione ogni volta diversa, per di più all'interno di un open space, in cui indosseremo tutti le cuffie: tutto sarà meno privato, meno umano, spersonalizzato e le relazioni sociali saranno molto ridotte e difficoltose, perché in un open space non ci si possono scambiare facilmente due parole come si fa in una stanza da due o da tre. Per di più, una volta raggiunta la postazione, dovrò ogni volta collegare cavi e rete al pc che dovrò portare avanti e indietro: nella mia condizione, è chiaro che tutto questo sarà più complicato. Dal 30 giugno, nel settore privato, comunque non varrà l'obbligo di tornare tutti in presenza, ci sarà una regolamentazione, di cui non siamo stati ancora informati. Non voglio isolarmi e tornerò anch'io in presenza, due o tre volte a settimana, ma sono consapevole che non sarà più il lavoro che ho fatto per 25 anni. Vivo un adattamento progressivo a qualcosa che è cambiato e sta cambiando: abbiamo acquisito competenze tecniche e tecnologiche, ma a livello umano e sociale il lavoro è cambiato e sta cambiando e non tornerà più quello di prima. Mi reputo comunque fortunata per aver lavorato in quella modalità per 25 anni: i neo-assunti forse non conosceranno mai tutti i loro colleghi. Per me il lavoro è stato fonte di inclusione, integrazione, vita sociale, amicizia. Quel modo di lavorare è stato una parte importante della mia vita: cambiando tutto ciò, le cose non potranno essere le stesse per le nuove generazioni”.

Chiara Ludovisi

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)