Tra cambio di abitudini e necessità di chiarezza. La pandemia ha mutato gli acquisti di cibo

Proprio il mutare della tipologia di consumi alimentari, ha rilanciato con grande eco la diatriba dell’etichettatura europea degli alimenti.

Tra cambio di abitudini e necessità di chiarezza. La pandemia ha mutato gli acquisti di cibo

Cambio dei consumi e battaglia in Europa per ottenere etichette degli alimenti finalmente più chiare. Fortemente collegato alla pandemia che non accenna a diminuire di intensità, il primo tema. Fondamentale proprio per migliorare il livello di consapevolezza dei consumi alimentari, il secondo argomento. Tutto ruota attorno al cibo e all’alimentazione. Due snodi del vivere d’oggi che, improvvisamente, da qualche tempo sono tornati all’attenzione di molti. Anche nelle società che si pensavano immuni dalle file per acquistare pane e latte.

Il mutamento della struttura dei consumi è stato recentemente sintetizzato dal “EU 2020 Agricoltural Outlook” presentato dalla Commissione Ue. In sintesi, le rilevazioni europee indicano un aumento dei consumi casalinghi pari al 18% e una diminuzione del 21% di quelli fuori casa. Stando agli analisti che hanno redatto il rapporto, il cambio che è stato registrato parrebbe destinato a consolidarsi anche per il 2021. Una prospettiva dovuta alla crescita del lavoro da casa che potrebbe addirittura portare ad un ulteriore salita dei pasti a casa pari al 7-9%. Forte effetto Covid-19, quindi, così come lo è l’aumento delle vendite di prodotti ortofrutticoli, soprattutto arance e mele, per i loro aspetti salutistici, accompagnato dalla diminuzione degli acquisti di prodotti trasformati.

Oltre a tutto questo, Covid-19 ha rivoluzionato anche i canali di acquisto, facendo crescere notevolmente l’e-commerce a discapito dei negozi di prossimità e, in qualche modo, anche della grande distribuzione. Di contro, pare stia registrando un andamento contraddittorio il consumo di prodotti biologici, con alcuni mercati in grande crescita affiancati da altri (come quelli dell’area del Mediterraneo) nei quali le vendite appaiono in flessione. Grande attenzione, poi, è stata rivolta da parte dei consumatori nei confronti di particolari tipologie di alimenti, come quelli salutistici. Solo per capire di più, basta sapere che in Europa pare siano in crescita del 16% i consumatori cosiddetti “ecoattivi”, cioè quelli che tengono a ridurre la propria impronta ambientale anche attraverso consumi più compatibili con l’ambiente.

Ciò che preoccupa maggiormente gli operatori della complessa filiera agroalimentare e agroindustriale in Italia e in Europa, pare però essere un’altra circostanza. Se la ripresa dopo il trauma della pandemia sarà troppo lenta, è il timore di molti, i prezzi degli alimentari che “bene o male” fino ad oggi sono rimasti su livello accettabili, potrebbero crollare. La recessione che si determinerebbe, porrebbe rappresentare un colpo fatale per molte aree agroalimentare del Vecchio Continente.

Proprio il mutare della tipologia di consumi alimentari, ha rilanciato con grande eco la diatriba dell’etichettatura europea degli alimenti. Due, di fatto, gli schieramenti che da tempo si fronteggiano. Da un lato chi, come l’Italia, chiede etichette chiare, che indichino non solo le componenti degli alimenti ma anche la loro origine e i luoghi di trasformazione. Dall’altro chi, come molti paesi del nord Europa ma non solo, vorrebbe etichette più semplici e chiare (in apparenza), fondate su colori e indicazioni facilmente comprensibili a tutti, ma in realtà notevolmente ingannevoli sui veri contenuti e sui reali effetti per la salute di cosa si sta mangiando. Ed è cronaca di questi ultimi giorni lo scontro consumato al Consiglio Agricolo europeo tra il governo italiano (affiancato da quelli della Grecia e della Repubblica Ceca), e il resto d’Europa proprio sull’ipotesi presentata dalla Commissione Ue di adottare, come etichetta ufficiale, una versione mutuata dalle etichette “a colori” in uso in Francia e in altri paesi. Motivi di tutela della salute pubblica, hanno spinto l’Italia a fare, con ragione, la voce grossa. Dietro, naturalmente, anche istanze economiche di non poco conto che significano un giro d’affari di decine e decine di miliardi, decine di migliaia di posti di lavoro, la tutela e la conservazione di un territorio già fragile e abbondantemente depauperato.

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Fonte: Sir