“Tutelare i genitori reclusi con figli”: la proposta dei garanti

Garante delle persone private della libertà e Garante per l’infanzia dell’Emilia-Romagna insieme per chiedere una presa di coscienza per evitare nuovi casi di ‘bambini dietro le sbarre’: “Serve una rete di case protette sul territorio”

“Tutelare i genitori reclusi con figli”: la proposta dei garanti

Nel 2019, in Emilia-Romagna, sono stati 15 i bambini tra 1 e 36 mesi rinchiusi in carcere con un loro genitore. Permanenze in genere brevi, di meno di una settimana. Ma c’è chi, ancora neonato, ‘dietro le sbarre’ ha passato qualche settimana. Un bimbo ci ha vissuto 10 mesi. In tutto si contano 450 giorni. È Marcello Marighelli, Garante regionale delle persone private della libertà personale a sottolineare questi numeri, raccolti nelle carceri emiliano-romagnoli ma riferiti agli istituti di Bologna e Forlì, perché elle altre strutture non si sono registrati casi. “Sono numeri significativi – ammonisce Marighelli – sia in termini di presenze, sia in termini di giorni. La normativa è complessa: le madri detenute che scelgono di tenere i figli con sé devono essere accolte negli Icam o in case protette e, solo in via residuale e solo fino ai 3 anni, nella sezione nido del carcere. In regione non c’è nulla di tutto ciò, non è prevista nessuna di queste tre opzioni. Fino a oggi le case circondariali di Bologna e Forlì si sono adoperate per sopperire a queste presenze, ma questa situazione deve finire”.

Per affrontare questa necessità, Marighelli e Clede Maria Garavini, la Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, hanno presentato in commissione la proposta di una nuova programmazione. La soluzione, secondo i garanti, sarebbe l’individuazione di una casa famiglia protetta, idonea sia a garantire il rispetto dei diritti dei minori, sia a rispondere alle esigenze della donna detenuta che, “toccata dalla legge penale, potrebbe avere lei in primis bisogno di un ambiente accogliente dove meglio potersi dedicare al bimbo e di un percorso di supporto alla genitorialità. Le donne detenute, in questo modo, avrebbero anche la possibilità – per loro e per i propri figli – di sottrarsi a un ambiente talvolta criminogeno”, spiega Marighelli. La casa famiglia auspicata è una casa protetta diffusa, una rete di case protette sparse sul territorio, da individuare tra quelle già esistenti destinate all’accoglienza mamma-bambino, naturalmente rispettose dei requisiti previsti dalla legge. “Una casa protetta ad hoc per le madri detenute, per fortuna, resterebbe vuota per gran parte dell’anno – spiegano i garanti –. Questo renderebbe difficile la gestione di tutti i professionisti che dovrebbero garantire supporto a madri e figli. Se, invece, puntiamo a strutture già esistenti, il problema non si porrebbe, e la qualità di educatori, luoghi e dotazioni sarebbe assicurata. Anzi, sia le donne sia i bambini si ritroverebbero a vivere in un sistema rodato, con evidente vantaggio per l’approccio a una quotidianità il più ‘normale’ possibile”.

“È la scienza a dirci che un bambino non può stare in carcere – sottolinea Garavini –, e lo ribadisce la Convenzione Onu. I bambini hanno diritto a una crescita sana, a sperimentare opportunità ricche e diverse. Hanno diritto di vivere all’interno di relazioni serene, in contesti educativi che sappiano rispondere in maniera adeguata ai loro bisogni.
Tutte questo in carcere non si trova: la madre detenuta non è nelle condizioni di essere serena, propositiva, di accogliere e sostenere la crescita. Gli ambienti sono limitati e limitanti, non attrezzati. Il bambino diventa vittima dello stato di detenzione del genitore, la condanna del genitore diventa la condanna del bambino, poi identificato come ‘figlio del detenuto’, con tutto quello che ne segue in termini di evoluzione e possibilità”. Per questo la casa protetta è la soluzione: un ambiente a dimensione familiare, il nido, la scuola, i giochi, l’attività fisica, sportiva e ricreativa. E poi programmi di sostegno alla genitorialità: “Un investimento forte sul bambino permette di trasformare la vita dei genitori: il figlio diventa fonte di ripresa”.

Secondo i garanti i tempi sono maturi per una scelta in questo senso: “Negli ultimi anni è aumentata molto la consapevolezza – spiega Marighelli –. Vanno registrati anche le disposizioni e i patti nazionali e internazionali: non è possibile rimandare oltre. Al momento registriamo una buona rispondenza nelle sedi istituzionali”. Anche Garavini parla di comprensione immediata e condivisa a livello politico: “Questo è un tema su cui siamo pressoché certi potremo incontrare l’appoggio di tutti: la tutela del minore è impegno prioritario. Un bambino in carcere non è ammissibile, nemmeno per un giorno”.

Oltre all’individuazione di una casa protetta (quindi accoglienza extracarceraria), la nuova programmazione condivisa dai garanti prevede, a partire dall’anno in corso e per tutto il 2021, azioni di monitoraggio per assicurare la piena attuazione della normativa europea in materia di relazioni tra genitori detenuti e figli (di qualsiasi età), che garantisce regolarità e stabilità nei contatti anche telefonici e telematici tra figli e genitori detenuti: “Vogliamo dare un contributo reale al benessere delle bambine, dei bambini e degli adulti che vivono le loro relazioni affettive nel corso di una pena o di una misura cautelare”. Fra le altre proposte, i garanti risollecitano esperienze formative per gli operatori di polizia penitenziaria che si occupano degli incontri in presenza fra genitori e figli. “Percorsi di sensibilizzazione ancor prima che di formazione”, specifica Garavini. “Le misure proposte non eliminerebbero il fenomeno – conclude Marighelli –, ma se ci fosse un’alternativa valida avremmo sicuramente maggiori garanzie. Non possiamo più accettare situazione come quella che pochi giorni ha visto protagonista una bambina di 4 anni, in carcere per 4 giorni con la madre, in emergenza sanitaria – il riferimento è alla vicenda raccontata da Redattore Sociale lo scorso giovedì –. Non sappiamo cosa sia successo, spesso capita che una misura domiciliare non possa essere presa in considerazione perché, nei fatti, un domicilio non c’è. Se ci fosse stata una casa protetta le cose sarebbero andate diversamente, e la piccola avrebbe evitato di passare 4 giorni in una camera detentiva”.

Ambra Notari

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)