Un disagio inespresso che esplode in tragedia. Nei giorni scorsi lo sterminio di un'intera famiglia per mano di un figlio ha scosso le coscienze di tutti
Intervista a Daniela Chieffo, professore associato e direttore dell’Unità Operativa di Psicologia clinica presso l’Università Cattolica Fondazione Policlinico Agostino Gemelli
Nei giorni scorsi lo sterminio di un’intera famiglia per mano di un figlio adolescente ha scosso le coscienze di tutti, sollecitando molti interrogativi. Ne parliamo con Daniela Chieffo, professore associato e direttore dell’Unità Operativa di Psicologia clinica presso l’Università Cattolica Fondazione Policlinico Agostino Gemelli.
Il disagio di molti adolescenti nasce in seno alla famiglia, in questi giorni si è parlato di solitudine e di senso di estraneità. Quali sono le radici di questi sentimenti?
Si tratta di stati d’animo che indicano soprattutto un’assenza di condivisione e spesso si acuiscono in determinati periodi dell’esistenza, come in adolescenza. Il senso di solitudine dei giovani spesso è anche riconducibile al fatto che essi non hanno un ruolo preciso all’interno del quadro sociale. Estraniarsi non sempre è un male, può essere un modo per contattare il proprio io e acquisire consapevolezza. Questo status però non dovrebbe ostacolare le relazioni con gli altri. A volte i giovani hanno paura di esprimere il proprio disagio, così nella solitudine il senso di abbandono o di estraneità si trasformano in un rifugio quasi gratificante. Accade poi che gli adulti nell’approcciarsi agli adolescenti si concentrino soprattutto sulle questioni scolastiche, senza approfondire adeguatamente aspetti più intimi ed esistenziali.
L’esplosione di violenza all’interno del nucleo familiare è un fenomeno di questa epoca?
La violenza a volte può nascere anche dal bisogno di sentirsi liberi e di esprimere la propria identità. Nell’età adolescenziale le esplosioni possono verificarsi sia per un cambiamento biologico, che per un senso di rivendicazione magari a un eccessivo controllo da parte dei genitori. Attualmente il tratto aggressivo degli adolescenti è più marcato, forse perché il tema della violenza si è insinuato in un certo tipo di cultura e comunicazione, basti pensare a certi brani musicali, o a determinate serie tv e videogame. Parole come “violenza”, “sangue”, “droga”, “sesso” sono divenute vere e proprie keyword nel mondo giovanile.
Ciò che colpisce è una preoccupante leggerezza rispetto alla gravità e irreversibilità di alcune azioni…
Alcuni ragazzi sviluppano la capacità di anestetizzarsi rispetto alle emozioni e ai sentimenti dell’altro. Soprattutto chi ha vissuto sofferenze o traumi pian piano può stratificare una sorta di corazza emotiva. L’era digitale se da un lato consente di affinare nei giovani alcuni talenti e abilità, dall’altro impoverisce il sistema di connessione tra gli individui, alterando il senso delle relazioni e in alcuni casi perfino quello della realtà. C’è un’esasperazione dell’aspetto narcisistico delle personalità. Molte ore di esposizione ai dispositivi tecnologici, inoltre, determinano in molti adolescenti l'”effetto tunnel”, così l’unico punto di accesso e interpretazione della realtà diviene il digitale. Per altri, invece, l’incapacità di comprendere fino in fondo le conseguenze delle proprie azioni è un alibi.
In quale modo è possibile prendersi cura delle relazioni tra i membri di una famiglia?
Un buon esercizio della comunicazione è fondamentale. Durante il ciclo della vita le modalità comunicative ed educative devono essere continuamente rinegoziate. Spesso il conflitto non è evidente, magari si esprime col silenzio e con l’allontanamento. Per mediare si può ricorrere a figure che sono vicine alla famiglia, come zii, nonni, insegnanti, allenatori… In casi estremi è necessario rivolgersi a psicoterapeuti o figure professionali. Non dimentichiamo poi che la comunicazione ha bisogno di momenti di condivisione per potersi esplicitare.
L’incapacità di gestire fallimenti e frustrazioni alimenta sentimenti di rabbia e manifestazioni di aggressività negli adolescenti?
Le nuove generazioni sono molto suscettibili rispetto alle ferite narcisistiche. Oggi gli eventi della nostra vita hanno una maggiore visibilità, così anche i fallimenti entrano in una sorta di cassa di risonanza. La frustrazione e il senso di inadeguatezza crescono e alimentano rabbia verso sé stessi e gli altri. Sono gli effetti collaterali di un mondo dove si vive molto “in vetrina”, a scapito dell’intimità dei contenuti familiari. Aver abituato i giovani, poi, a un eccesso di controllo e protezione non li ha resi autonomi e “attrezzati” nei confronti dei fallimenti.