Una notte in strada con i volontari che aiutano i senza dimora

L’unità di strada dell’associazione LeAli di Palermo distribuisce cibo, coperte, vestiti e biancheria a oltre 150 “invisibili”. Maddalena Rotolo, volontaria: "Il principale problema è la solitudine"

Una notte in strada con i volontari che aiutano i senza dimora

Con il loro sorriso che traspare solo dagli occhi perché il viso è coperto dalle mascherine ringraziano “di cuore” i volontari che portano loro cibo, coperte, vestiti e biancheria. Sono alcuni degli oltre 150 “invisibili” di Palermo: uomini anziani, italiani e stranieri, giovani e anche donne. La maggior parte di loro dorme in strada o in sistemazioni di fortuna molto precarie. Ieri sera siamo usciti con i volontari dell'Unità di strada dell'associazione LeAli.

Giuseppe ha 62 anni e da 8 mesi vive dentro una macchina. "La mia vita è cambiata drasticamente dopo che è morta mia moglie perchè sono rimasto solo - racconta -. Considerato che per un periodo ho vissuto in strada e poi nei vagoni abbandonati,  adesso in macchina la situazione è migliore. Non voglio andare al dormitorio perché non ho un carattere facile e non riuscirei a condividere gli spazi con gli altri".

In una stradina molto buia  i volontari bussano alla porta di una casupola molto vecchia da dove esce il giovane Cristian di 31 anni che temporaneamente è ospitato insieme ad altre tre persone dentro questa casa che non ha neppure la pavimentazione. "Ho una storia difficile perché ho perso mia mamma quando avevo 8 mesi. In passato ho fatto uso di sostanze ma adesso non più - dice Cristian -. Quando mi chiamano  riesco a vivere di piccoli lavoretti manuali. Ho vissuto per un periodo dentro i vagoni abbandonati e la situazione non era per niente facile. Ho visto tante cose brutte. Ricordo che quando qualcuno eccedeva con l'alcol diventando aggressivo arrivava la polizia per fare sgombrare tutti. A volte c'erano anche litigi violenti in cui era meglio mantenere le distanze".

C'è purtroppo chi a causa della pandemia ha perso il lavoro che faceva in nero o con contratti precari. All'altezza della posta centrale c'è Mohamed che ha degli occhi neri molto espressivi; il giovane siriano di 33 anni è fuggito dal suo Paese in guerra e ha avuto bombardata la casa dove abitava.  "Prima della pandemia lavoravo come cameriere in un locale di Mondello - racconta Mohamed -. Adesso che ho perso il lavoro i volontari mi pagano una stanza ma spero di riuscire presto ad avere una vita normale".

Oltre a lui c'è Nunzio  di 42 anni che ha degli occhi blu bellissimi. "Purtroppo devo chiedere il cibo ai volontari - dice - perché abito in un vecchio ostello dove non c'è cucina. Nonostante percepisca il reddito di cittadinanza nessuno mi vuole affittare con un contratto regolare una casa. Pur di cambiare questa situazione sarei disposto a fare qualsiasi lavoro. Ogni tanto c'è un prete di una chiesa che mi chiama per fare le pulizie. Non ho più rapporti con i miei genitori che dopo la separazione si sono fatti una vita tutta loro. Anche io ho dormito sui vagoni  abbandonati e lo ricordo come un  periodo bruttissimo  perché era molto pericoloso".

Nei presi della stazione centrale, dentro una villetta, c'è un gruppo di persone di origine straniera: magrebini e subsahariani. "Se riapre il locale vicino la stazione potrei lavorare servendo le persone ai tavoli - racconta Sofian giovane algerino di 28 anni -. In passato ho vissuto 5 anni in Germania e credo che, se le cose andranno ancora male, potrei tentare di ritornarci. Per me i volontari che ci aiutano non sono persone ma degli angeli. Palermo è bella ma lavorare in maniera regolare è molto difficile".

Sotto i portici della stazione centrale due persone dormono in strada sotto dei piumoni. I volontari li chiamano per lasciare il cibo che accettano ringraziando con la mano. Non molto distante, in una stradina che finisce in un cortile, organizzata in un vero e proprio fortino/rifugio ricoperto da cartoni alti, c'è una donna. Si tratta di Eva, slovacca di 57 anni che non conosce l'italiano; dopo  una storia travagliata con una persona che faceva uso di droghe, adesso vorrebbe avere la possibilità di ritornare nel suo Paese. I volontari la chiamano e lei, solo dopo avere riconosciuto una voce amica, accetta il sacchetto con il cibo.

Molto vicino al porticciolo di Sant'Erasmo ci sono due tedeschi che hanno trovato invece riparo sotto una vecchia tettoia di una ex pescheria abbandonata. Secondo quanto raccontano i volontari, in questo caso si tratta di persone che, proprio perché spesso fanno uso di alcol e di altre sostanze, non hanno una situazione facile.

Molto vicino al mare da un vecchio magazzino abbandonato esce una coppia di ultra-sessantenni che sono molto contenti di incontrare i volontari. "Come ormai sapete abbiamo bisogno di tutto - dice la donna -. Se avete delle scarpe per me le accetto sennò le aspetto per la prossima volta. Abbiamo un figlio ed è da molto tempo che viviamo in una situazione di forte povertà perché da molti anni non abbiamo un lavoro. In passato abbiamo dormito in spiaggia, poi in macchina e infine abbiamo deciso di occupare questo vecchio magazzino abbandonato. Per lavarci riempiamo il secchio alla fontana e poi ce la facciamo riscaldare da una anziana signora. Grazie per tutto quello che fate per noi".

"Il nostro servizio è difficile perché  la carica emotiva è notevole - dice Maddalena Rotolo volontaria dell'associazione LeAli -. Per adesso ci confrontiamo  con problemi che la pandemia ha accresciuto come la perdita del lavoro che ha creato nuovi poveri e tra questi anche famiglie. In questo periodo quello che ha fatto, però, più male a queste persone, non è stata la mancanza di cibo o dei beni di prima necessità, ma soprattutto lo stato di profonda solitudine perché, rispetto a prima, è difficile per loro potere fare gruppo. Ci sono anziani soli che hanno bisogno di parlare con qualcuno. Ricordo la situazione drammatica di una donna che disperata mi ha chiamato una sera al telefono che voleva suicidarsi. Quando ci siamo incontrate, non voleva cibo, ma solo essere  abbracciata, pur nella difficoltà della pandemia, perché aveva bisogno di tanto conforto. Un altro problema molto forte è poi è quello delle persone che, pur avendo il reddito di cittadinanza, non riescono ad affittare una casa. Si potrebbe proporre al comune di aprire qualche struttura in disuso per permettere a queste persone di vivere in alcuni spazi che potrebbero magari auto-gestire e mantenere con il loro sussidio". 

Serena Termini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)