Vaccino, Green Pass, salute mentale: “clima repressivo aumenta fragilità”

Allarme di Unasam. La presidente Trincas: “Unasam difende da sempre libera scelta dei trattamenti sanitari e io personalmente la confermo. Ma si è scelto di portare avanti una campagna minacciosa. Il governo ci ascolti: il linguaggio di odio diffuso aumenta disagio mentale, aggressività, suicidi”

Vaccino, Green Pass, salute mentale: “clima repressivo aumenta fragilità”

“Una situazione difficile, che ci deve preoccupare: le regole imposte all'interno delle strutture residenziali socio-sanitarie e socio-assistenziali rischiano di alimentare situazioni di abbandono da una parte, di fragilità e disagio dall'altra”: a parlare è Gisella Trincas, presidente di Unasam, che non accoglie affatto con favore l'estensione dell'obbligo del Green Pass a tutti i lavoratori delle aziende pubbliche e private, né l'estensione dell'obbligo vaccinale a tutti i lavoratori delle strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie. Alla base della sua posizione, ci sono da un lato i valori “storici” dell'Unasam, dall'altro le preoccupazioni per le ricadute pratiche.

Partiamo dai valori: “Unasam ha sempre difeso chiaramente la libera scelta in merito ai trattamenti sanitari, che mai possono essere imposti. Io, personalmente, confermo convinta questa posizione anche nel caso del vaccino. Come Unasam dobbiamo ancora esprimere una posizione unitaria e di questo discuteremo nel prossimo direttivo. Parlo perciò, per ora, a titolo personale: qualsiasi trattamento sanitario, in base alle norme nazionali e internazionali, deve essere considerato volontaria. D'altro canto – aggiunge – sono convinta che lo stato dovesse farsi carico di una campagna informativa, che incitasse la popolazione a vaccinarsi: ma doveva essere una campagna corretta, non minacciosa, non terrorizzante, sull'utilizzo di vaccino come strumento di prevenzione. Quello che è accaduto, invece, è che intorno a una questione così delicata e importante, si è scatenata la guerra, la caccia ai non vaccinati. Ritengo invece che la posizione di chi sceglie di non vaccinarsi, per diverse ragioni, dovesse essere rispettata, non criminalizzata: l'informazione e la comunicazione, soprattutto mediatica, è stata invece vergognosa e ha generato una guerra esasperante e gravissima, diffondendo un clima e un linguaggio d'odio che sta facendo aumentare il disagio mentale e l'aggressività”.

Le visite dei familiari e il rischio abbandono

Passando dai valori alle preoccupazioni concrete, “di fatto non c'è più accesso libero in nessun luogo. Nei servizi territoriali della salute mentale si accede sempre con difficoltà e le regole sono ogni giorno più rigide: ora si potrà entrare solo con il Green Pass. Registro quotidianamente una sofferenza enorme da parte delle persone e delle famiglie nella gestione delle relazioni, dei rapporti, degli ingressi nei luoghi e nei percorsi di cura. Tutto è più complicato, farraginoso, confuso e non ci sono linee chiare. Tutto il mondo della salute mentale, così come i luoghi e i percorsi per la presa in carico sono bloccati, o resi più complicati. Ci arrivano anche moltissime segnalazioni di situazioni di conflitto e sofferenza all'interno delle famiglie: sono aumentati i livelli di intolleranza, il desiderio di farla finita, o di andare a vivere da un'altra parte. Riscontro una situazione oggettiva di grave criticità e non riesco a vederne la fine, un orizzonte chiaro. Dalle comunicazioni ufficiali del governo, sembra che la fine debba arrivare con la vaccinazione di massa: in altre parole, obbligando le persone con la strategia dell'induzione. Mentre la strada, a mio avviso, doveva essere la libertà di scelta, naturalmente garantendo sicurezza e prevenzione, ma affidando queste anche ai test, agli screening, per chi non vuole vaccinarsi. Si potevano attivare i test salivari, che sono meno invasivi e più adatti anche a chi ha una fragilità mentale. e offrire a persone sistema di controllo, per evitare contagi, attivando test salivari, che non sono invasivi. Non si sarebbe creata questa guerra, questa condizione di estrema sfiducia, che ci deve preoccupare moltissimo, per le conseguenze che già sta producendo. Pensiamo alla scuola: il primo giorno, i genitori senza Green Pass sono stati lasciati fuori. Ci siamo chiesti cosa questo abbia potuto significare, per quei bambini che mettevano piede in una scuola per la prima volta, vede i loro genitori bloccati, lasciati fuori? È una cosa atroce, aberrante. Qualcuno parla di strategia dell'induzione, ma per me è più corretto parlare di strategia della repressione. La stessa rigidità si trova nella maggior parte delle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali: i familiari entrano solo con vaccino o tampone. Ma un tampone ogni due giorni, per chi va a trovare il proprio caro con costanza, è insostenibile sia fisicamente che economicamente. Ripeto: la scelta del test salivare avrebbe risolto a questo nostro paese ferito tante questioni, con cui ci stiamo scontrando e continueremo a scontrarci”.

La fatica degli operatori

E poi, ci sono i lavoratori delle strutture, che “soffrono una situazione in cui non ci sono risorse finanziarie, né umane e faticano ad offrire vicinanza, continuità, partecipazione: ciò di cui le persone con un disagio mentale hanno maggiormente necessità. Ora dovranno obbligatoriamente vaccinarsi, non basterà più il tampone. Io mi domando: secondo quale logica io, che sono vaccinata, ho il Green Pass valido per 12 mesi, anche se non sappiamo quanto duri veramente la protezione, mentre chi fa un tampone ogni due giorni non potrà più lavorare in queste strutture? Ci sono tante contraddizioni: lo dimostra il fatto che epidemiologi, immunologi, costituzionalisi hanno posizioni diametralmente opposte”. C'è poi un altro grave problema: “Gli Oss sono pochi, insufficienti: tanti si sono trasferiti negli ospedali, dove trovano condizioni di lavoro migliori. Di conseguenza, molte delle nostre comunità sono in grande difficoltà, perché sono rimasti pochi operatori. E se ora tra loro ci fosse un non vaccinato? Dovrebbe o vaccinarsi o andare via, non avrebbe e non avremmo altra scelta”.

Il clima di odio

Ciò che maggiormente preoccupa, però, è “l'aumento della sofferenza e dell'aggressività che ci troviamo davanti. E che derivano, sono certa, da questa situazione di forte difficoltà, che produce conflittualità. Ci sono persone che non reggono: una situazione in cui tutto è più difficile e faticoso, crea maggiore aggressività e intolleranza. Basta vedere il linguaggio sui social: si sta diffondendo un odio che aumenta anche le fragilità mentali. L'altro è il nemico, l'attentatore alla mia salute, al mio benessere sociale. Come Unasam lanciamo l'allarme, ma soprattutto un appello: le istituzioni ripensino alle scelte che stanno portando avanti, ascoltino più soggetti. Su queste decisioni, è mancata completamente la partecipazione delle nostre organizzazioni, che hanno tanto da dire. Il governo deve ascoltarci, per aver presente la nostra lettura”.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)