"Non sarà un'elezione veloce". La partita del quirinale secondo Selena Grimaldi

«Non credo sarà un’elezione veloce. Andremo ben oltre la quarta votazione. Anche perché, se ci saranno diversi parlamentari positivi, diventerà più difficile raggiungere il quorum di 505. A meno che il presidente uscente Sergio Mattarella non decida di accettare un nuovo incarico, magari a tempo limitato.

"Non sarà un'elezione veloce". La partita del quirinale secondo Selena Grimaldi

Potrebbe farsi convincere dalla pandemia in corso, dal Recovery fund da gestire, dalla situazione economica che non è proprio una favola». Questa l’analisi di Selena Grimaldi, docente di Politica comparata all’università di Padova e autrice del volume I presidenti della Repubblica nelle forme di governo. Tra Costituzione, partiti e carisma (Carocci editore).

Professoressa Grimaldi, perché, mai come questa volta, è diventata decisiva la partita del Quirinale?

«Da un lato, dall’inizio degli anni Novanta, è diventato normale che quello del presidente della Repubblica non sia un semplice ruolo di garante della democrazia parlamentare. Dall’altro i partiti appaiono particolarmente deboli e fragili, non sembrano nemmeno in grado di esprimere un governo. In pratica abbiamo fatto un passo indietro anche rispetto al bipolarismo della Seconda Repubblica: di fronte all’incapacità di centrodestra e di centrosinistra di formare un esecutivo, l’importanza del Capo dello Stato si è accresciuta. È lui che spesso ha avuto in mano il pallino. Anche se bastano 50 anni per essere eletti, i precedenti – eccezion fatta per Francesco Cossiga, eletto a 57 – delineano per la Presidenza della Repubblica l’identikit di un uomo, anziano, dell’età media di 72 anni».

Sarà difficile trovare un nuovo inquilino del Colle, il tredicesimo, all’altezza di Sergio Mattarella?

«Mattarella ha esercitato il suo mandato all’insegna della neutralità assoluta. Dopo i governi Conte I e Conte II si è visto costretto a chiamare Mario Draghi per quello che è di fatto un esecutivo del presidente. Ma ora vediamo che la maggioranza scricchiola più che mai. È difficile stare dentro il governo e fare campagna elettorale».

Professoressa, non le chiediamo di leggere nella sfera di cristallo ma cosa si può prevedere per le prossime settimane?

«Solo Mario Draghi sembra in grado di tenere insieme le forze politiche che fanno parte del governo: ma se i partiti cominciano a friggere non so davvero chi potrebbe essere il suo sostituto nel caso in cui venisse eletto al Quirinale. Il presidente del Consiglio ha garantito che il governo potrà andare avanti con il pilota automatico, ma tutto fa pensare che l’esecutivo sta in piedi solo perché c’è Draghi alla guida».

Chi potrebbe sostituirlo a Palazzo Chigi?

«Si è fatta l’ipotesi di Daniele Franco come premier, ma certo il ministro dell’Economia e delle Finanze non gode dello stesso prestigio internazionale di Draghi. Il ministro della Giustizia Marta Cartabia poi ha un po’ pestato i piedi ai Cinque Stelle sulla riforma della prescrizione. Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese viene pungolata sistematicamente da Matteo Salvini. Insomma, non mi pare che gli indipendenti godano di grandi chances per la successione. Quanto agli uomini di partito, non credo che il leghista Giancarlo Giorgetti potrebbe essere votato dal Pd, né il dem Andrea Orlando dalla Lega. Insomma, a livello di governo Draghi appare insostituibile».

Abbiamo una soluzione di riserva?

«La sola exit strategy che vedo è che Mattarella riconsideri la sua posizione e che accetti di essere rieletto, restando in carica un anno e mezzo, sino alla fine del 2023. Solo il presidente uscente può essere eletto per un mandato a tempo limitato, un po’ come è successo per il bis di Napolitano».

In queste settimane è però circolato con insistenza il nome di Silvio Berlusconi…

«Berlusconi è imprevedibile, si è autonominato candidato del centrodestra, ma è chiaramente divisivo. Non gli mancano le risorse e sta cercando i consensi necessari per arrivare a 505 voti alla quarta votazione. Dovrebbe però pescarli anche nel gruppo Misto, dove non mancano gli ex Cinque Stelle che in passato lo vedevano come fumo negli occhi. Certo, Berlusconi è tutto tranne che uno stupido. Forse questa “forzatura” sul suo nome potrebbe voler dire due cose: 1) che lui è ancora il king maker del centrodestra; 2) che stavolta il centrodestra, avendo in partenza più grandi elettori del centrosinistra, può eleggere un presidente di centrodestra. Ad esempio l’ex presidente del Senato Marcello Pera potrebbe convincere anche Italia Viva di Matteo Renzi».

Potrebbe essere la volta buona di una donna al Quirinale?

«Temo non sia ancora arrivata l’ora di una donna. Intendiamoci, non è che non esistano candidate all’altezza. Parlando di donne di partito, difficile che a destra votino Rosy Bindi o Anna Finocchiaro, che pure vantano una ricca carriera istituzionale. Sull’altro versante la vedo dura sia per la presidente del Senato Elisabetta Casellati, che difficilmente potrebbe essere votata dal Pd, che per Letizia Moratti. Si sono fatti anche i nomi della costituzionalista Lorenza Carlassare e delle senatrici a vita Elena Cattaneo e Liliana Segre, ma al ruolo è richiesta anche una certa dimestichezza con la politica. Qualità che certo non mancava a Nilde Iotti, che nel 1992, al quarto scrutinio per il Quirinale, ottenne 256 voti, il più alto numero di consensi raggiunti da una donna. Il nome di Emma Bonino, in passato ha raccolto più attestazioni fuori del Palazzo che tra i grandi elettori».

Il presidente della Repubblica dovrebbe essere scelto direttamente dai cittadini?

«Io non sono propensa all’elezione diretta del Capo dello Stato. Il problema sta in realtà nel cuore della politica. Dal 2013 l’Italia non è in grado di darsi governi di durare. I partiti sono in grande difficoltà. Nel Pd convivono tante idee diverse. A destra sono un po’ più capaci di tenere le redini, ma anche nella Lega non mancano i distinguo. E la Meloni preoccupa Salvini. Decine di deputati non hanno alcun partito di riferimento e non rappresentano più gli elettori che li hanno mandati in Parlamento: legge per legge decidono come votare”.

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