11 febbraio 1917: leggere i fatti che guidano a Cristo. Un “editoriale” sul compito della Difesa

Per una volta invece di leggere quali fatti la Difesa del popolo offre ai suoi lettori per capire il momento che l’Italia e la chiesa locale stanno vivendo, ci soffermiamo su un articolo che ripensa al modo con cui il settimanale si offre e al fine che si propone.
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11 febbraio 1917: leggere i fatti che guidano a Cristo. Un “editoriale” sul compito della Difesa

La "direzione” della testata, di cui è “gerente responsabile” Giuseppe Dorigo, dichiara esplicitamente la volontà di leggere i fatti della settimana che fanno capire al popolo la bellezza di una scelta cristiana, nella vita di fede e nelle scelte morali.
Perché senza questa linea maestra, dice ancora il testo, senza questa bussola spirituale ed etica, non è possibile compiere i propri doveri e diventa pericolosa perfino la tutela dei diritti.
Ecco quindi che diritti e doveri, di cui tanto spesso le colonne della Difesa parlano, vanno inquadrati in un quadro programmatico chiaro, in quella riconquista della società cristianamente ispirata che era stata, fin dall’inizio del suo episcopato, l’obiettivo del vescovo Luigi Pellizzo, fondatore della testata diocesana.

Storici come Liliana Billanovich parlano di «progetto intransigente di restaurazione della società cristiana» modulato «secondo nuove linee adatte alle mutate circostanze storiche».
Sembra fuori di dubbio, anche in base alle parole dell’editoriale dell’11 febbraio 1917, che la premessa di ogni miglioramento della condizione popolare, e più generalmente umana, a partire dalla cessazione della guerra, sia in una profonda, collettiva revisione di vita.
A questo mirano gli appelli a costumi più sobri, all’oscuramento dei divertimenti, dei cinematografi e dei balli, all’eliminazione della pornografia e della bestemmia. E la condanna dei profittatori.
A questo mira anche la difesa dei diritti delle famiglie dei combattenti ai sussidi dello stato, anche quando le leggi non sanno distinguere tra proprietari terrieri e piccoli coltivatori diretti. L’appello all’assistenza, statale e solidale, ai profughi dei territori invasi. Anche la rivendicazione delle donne che chiedono pane migliore e meno caro, legna da ardere per scaldarsi...

È singolare che gli articoli che più attirano l’attenzione e il favore dei lettori siano proprio quelli che hanno un forte sottofondo di insegnamento morale.
Anche se la citazione, è doveroso farlo presente, viene da un “parroco di campagna” che usa gli articoli della Difesa come “vangelo concreto” e catechismo efficace.
Siamo andati a rivedere gli articoli che la lettera del parroco cita esplicitamente, riferiti ai numeri immediatamente precedenti a quello in cui la lettera è pubblicata. Egli afferma di aver letto in chiesa “Si è pregato tanto, eppure!” e “Per le mamme”.

Il primo articolo, uscito il 28 gennaio, commenta l’espressione sfiduciata «che si sente sovente nell’ora terribilmente tragica che si sta attraversando» e che sottintende una «tacita accusa di inutilità». Ma a cosa servono, replica l’articolista, le preghiere se non sono accompagnate da una seria conversione di vita? Se non si fuggono le bestemmie, i divertimenti immorali, le baldorie intemperanti, le mode riprovevoli?

L’altro articolo citato, sempre nello stesso numero, si rivolge alle mamme troppo permissive che concedono tutto, passano tutto, accontentano tutti i capricci dei figli «cominciando dai bimbi dell’asilo». L’invito rivolto ai genitori è ad essere “affettuosamente
severi” avvezzando i bambini a piccoli sacrifici per regalare qualcosa a chi sta peggio.
Anche il terzo scritto, “Due viaggi”, citato dal parroco di campagna è poco giornalistico, secondo i nostri criteri attuali. È piuttosto un aforisma che racconta di un contadino Frittata che chiese alla biglietteria della stazione un biglietto senza voler specificare la destinazione: «Ce ne sono tante migliaia e milioni simili a lui purtroppo! Sono tali quelli che, interrogati sulla stazione d’arrivo della loro vita alla fine della loro esistenza, non sanno rispondervi». Sono professoroni, sapientoni, dottoroni, talentoni che finiscono la loro vita... in una grande frittata.

Subito sotto un altro trafiletto, non citato dal nostro parroco, cita un cappellano militare che in un ospedale ha a che fare con un anarchico secondo cui chi crede in Dio è un imbecille. Il prete chiede a tutta la camerata chi di loro è così imbecille da credere in Dio e tutti alzano la mano.

Abbiamo scritto

Il nostro giornale, i parroci e il popolo
Vogliamo e dobbiamo essere sinceri. Ci riesce impossibile, data la crisi di uomini e di cose che ci ha recato la guerra, dedicare a questo nostro caro giornale tutto il tempo e tutte le cure che vorremmo. Non per questo tralasciamo di propagandare coi nostri scritti, nel modo che ci sembra migliore, il principio cristiano riportando e riassumendo, quasi a dimostrazione, i fatti e gli avvenimenti della
settimana; di preferenza quelli che sono diretti a far sempre meglio conoscere al popolo – contro tutti gli errori – la necessità e la bellezza della vita praticamente e sinceramente cristiana.
E con ciò riteniamo, e la coscienza ce ne assicura, di tener fede al programma che tanto bene si compendia nel titolo del nostro settimanale: la Difesa del popolo. Ci fu chi disse che, così facendo, noi diamo al giornale un carattere prevalentemente religioso. Non lo vogliamo, ma non ce ne pentiamo affatto; convinti come siamo che, se rimarranno saldi e sentiti nell’anima del popolo i principi della fede e della morale cristiana si potrà poi lavorare efficacemente per lui. Diversamente sarà vana ogni esortazione ai compimento dei suoi doveri, pericolosa la stessa tutela dei suoi diritti. Ha fatto e fa del bene in questo senso la Difesa del popolo? La costante simpatia del clero e del popolo con cui essa viene settimanalmente accolta ci permette di rispondere affermativamente. Ne è prova la lettera che ci invia un parroco di campagna...

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