4 novembre 1917: i giorni tragici di Caporetto

Nei giorni tragici per l'Italia dell'offensiva austro-ungarica che costringe a un drammatico ripiegamento l'esercito italiano, La Difesa si allinea col suo vescovo e con le associazioni cattoliche nell’incoraggiare la gente alla coesione, alla «azione fattiva ed energica e allo spirito di sacrificio». Una proposta: requisire i palazzi deserti per accogliere i profughi.

4 novembre 1917: i giorni tragici di Caporetto

L’attenzione degli storici, nel centenario della grande guerra e anche della grave sconfitta di Caporetto, caduto in questi giorni, ha messo in evidenza non solo gli errori ormai conclamati dei generali italiani, che invano si mascherarono dietro lo scarso spirito combattivo dei nostri fanti, sobillati dalle notizie provenienti dalla Russia, dalle proteste delle famiglie per le condizioni di vita, dal rinnovato invito del papa che rianimava il pacifismo cattolico.

Oggi l’accento è posto piuttosto sulle conseguenze che la rotta ebbe sui militari combattenti, ma anche su tanti prigionieri destinati a patire un anno di privazioni, non alleviato nemmeno dagli aiuti che lo stato italiano ostacolò in tutti i modi ritenendo di punire soldati su cui gravava il dubbio infamante della resa senza resistenza al nemico. Sui presunti disertori fucilati con rito sommario per colpe inesistenti o dettate dalle circostanze. Sulla popolazione civile friulana e veneta, composta da donne, vecchi e bambini, costretta a subire le angherie della guerra e dell’esilio, dall’una e soprattutto dall’altra parte del fronte, dove fu fame nera.

Un qualche interesse viene dedicato alle ragioni che consentirono la tenuta dello stato e del popolo italiano davanti a un tale sinistro, tenuta a cui contribuì non poco anche l’apporto della chiesa.

La Difesa, pur nei limiti imposti dalla censura e dalla mancanza d’informazioni, si preoccupa da subito delle vittime della guerra e fa appello alla coesione.
Il numero dell’11 novembre dedica un commosso appello al cuore dei cattolici italiani che guardano al lembo nord-orientale della penisola e invita alla coesione contro lo sport nazionale della calunnia, della “smania del dire male”.
Lo stesso numero pubblica “Un patriottico appello della Gioventù Cattolica Italiana” perché «l’ora grave che il nostro paese attraversa richiede da tutti concordi di propositi, azione fattiva ed energica e spirito di sacrificio». E poi si menziona “L’interessamento del Papa per le popolazioni del territorio invaso” per impedire «che si rinnovino in Italia le infami gesta compiute nel Belgio e nella Francia del Nord».
La santa sede «non pare disposta a tollerare nuove e gravi violazioni al diritto delle genti» su un territorio dove le è più facile controllare le denunce che le pervenissero.

La settimana dopo il settimanale diocesano riporta la sostituzione di Cadorna e Porro con Diaz, Badoglio e Giardino e soprattutto

la nota del vescovo Luigi Pellizzo che chiede ai parroci di rimanere al loro posto «consigliando calma ed egual contegno ai parrocchiani fino a che un ordine perentorio dell’Autorità o forza maggiore non consigli lo sgombero. (...) Il nostro vero patriottismo consiste non nel proclamarsi tali a parole, ma nel fermarsi a compiere opere di carità e di assistenza al popolo che rimane abbandonato e per lenire per quanto starà in noi le gravi conseguenze della guerra».

In seconda pagina, tra “I doveri del momento” oltre all’invito all’austerità (chiesto perfino dal direttore del Popolo d’Italia Benito Mussolini) e alla condanna di «certi signori che ritirano il loro denaro alle banche e scappano» si accoglie perfino una richiesta dell’Avanti, il quotidiano socialista, per requisire i numerosi palazzi rimasti vuoti per l’esodo dei rispettivi loro proprietari, scappati nelle ville al mare o in montagna, a beneficio dei profughi.
Infine, accanto al telegramma del comandante di presidio sui disertori e alla notizia di 13 fucilazioni sulla schiena per violenza contro le case abitate, saccheggio, ribellione e minacce a mano armata verso i carabinieri, si annuncia che l’Associazione stampa padovana delibera di sospendere le pubblicazioni dei giornali cittadini. «Di conseguenza anche la Difesa del popolo sospende temporaneamente le pubblicazioni».

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