Messo in quarantena il Paese, ora l'obiettivo è salvare almeno i raccolti
Mancano gli stagionali per il lavoro dei campi? In aiuto dei contadini arrivano i parenti e, forse, anche chi percepisce il reddito di cittadinanza.
L'obiettivo è, manco a dirlo, salvare capra e cavoli scongiurando una crisi ben più grave per il settore agricolo.
In questo mondo alla rovescia, dove la finanza langue e il casoin è tornato alla ribalta al pari del garzone di bottega che fa le consegne a domicilio, anche la campagna riserva qualche sorpresa.
Colpite duramente da un inverno incerto, le colture rischiano ora di venire private delle cure necessarie dalla mancanza di manodopera nei campi
«Nell'agricoltura italiana — scrive su Twitter il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori — lavorano 400 mila lavoratori stranieri regolari, il 36% del totale, la maggior parte dei quali rumeni. Quest'anno non arriveranno. Chi raccoglierà gli ortaggi e la frutta? Servono almeno 200 mila lavoratori extracomunitari. Serve subito un decreto flussi».
La posizione del sindaco di Bergamo riprende quella del presidente di Confagricoltura: «Con le persone colpite dal virus, quelle in quarantena e gli stagionali stranieri rientrati nei Paesi di origine che non possono tornare in Italia per il blocco della circolazione — spiega il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, intervistato dal Corriere della Sera — nelle campagne mancano braccia e siamo in un momento cruciale: si avvicina la stagione della raccolta degli ortaggi e della frutta estiva. Servono almeno 200 mila persone subito. Per questo abbiamo chiesto strumenti governativi che facilitino le assunzioni, come i voucher, o la possibilità di impiegare persone che hanno perso il lavoro o i cassintegrati».
Se mancano i lavoratori, arrivano i parenti
In un'altra intervista, questa volta rilasciata all'Agi , lo stesso Massimiliano Giansanti arriva a teorizzare l'impiego nei campi dei percettori del reddito di cittadinanza. «Ci sono — ha dichiarato il presidente di Confagricoltura — tutti gli elementi per trovare un accordo tra impresa e lavoratore salvaguardando i diritti di chi percepisce il reddito e permettere all'azienda di poter contare su un cittadino italiano al quale, grazie anche al fattore lingua, poter insegnare velocemente quello che è necessario fare all’interno di un’azienda agricola».
Una soluzione estrema volta a fare di necessità virtù al pari di quella proposta dal decreto Cura Italia e rilanciata da Coldiretti che vede nelle famiglie la prima forma di manodopera.
«Per garantire — si legge nella nota rilasciato rilasciata da Coldiretti — la disponibilità di alimenti e sopperire alla mancanza di manodopera potranno collaborare nei campi anche i parenti lontani fino al sesto grado a condizione che la prestazione sia resa a titolo gratuito».
Si tratta, come sottolinea il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, di una pratica molto diffusa in passato ma ormai scomparsa, anche per colpa di una legislazione sfavorevole.
«Non ci sorprendono — spiega Piergiovanni Ferrarese, presidente dei giovani di Confagricoltura Verona, provincia nella quale mancano all'appello almeno 4 mila lavoratori — le molte richieste arrivate in questi giorni da parte di studenti universitari, dipendenti della ristorazione e di fabbriche chiuse; non ci sorprende perché era facilmente prevedibile. Il problema rimane quello denunciato pochi giorni fa, ossia la mancanza di uno strumento flessibile per poter integrare nelle nostre aziende queste persone. Lo strumento esiste, c’è ed è il voucher. Lo abbiamo usato, lo conosciamo, è la risposta giusta. Strumento flessibile e dalla facile attivazione, capace di dare le corrette tutele ai lavoratori temporanei. Siamo felici di apprendere che sia stato depositato un emendamento in materia. Certo, deve ancora passare il vaglio di ammissibilità e poi l’esame in commissione, ma ci auguriamo che vada in porto in breve tempo. Oggi più che mai mi auguro che la politica sappia velocizzare certi iter, così poco calzanti al momento che stiamo vivendo».
Se l’agricoltura piange, l’allevamento non ride: sono in allarme gli allevatori di suini — che scontano anche il collo di bottiglia dei mattatoi, dove si lavora a ciclo ridotto — e di ovini.
Complice una Pasqua ancora poco sentita, stentano a decollare i consumi di carne d’agnello mettendo in difficolta un’intera filiera.
«In occasione di questa festività — sottolinea Coldiretti in una nota — si acquista infatti gran parte di circa 1,5 chili di carne di agnello consumata a testa dagli italiani durante tutto l’anno».
In Italia, secondo i dati di Confagricoltura, si contano 2,8 milioni di ovini oltre a 150 mila capretti allevati è proprio in queste settimane dovrebbero avvenire il 90% degli ordinativi che, al pari di quanto succede per altri prodotti pasquali, non sta arrivando.
L’agricoltura italiana, insomma, si sta organizzando per far fronte all’emergenza nella speranza che il mercato risponda positivamente e chissà che, come nel celebre racconto di Giovannino Guareschi, se a mancare sono i lavoratori non tocchi anche al sindaco e al parroco rimboccarsi le maniche nelle stalle di paese.