Un malato in Europa, e non siamo (ancora) noi

Erdogan è riuscito a diventare il padrone della Turchia, ma l'economia non sembra obbedirgli. Crolla il valore della lira e l'economia boccheggia, la Turchia è tornata dopo cent'anni ad essere il grande malato d'Europa?

Un malato in Europa, e non siamo (ancora) noi

Un bravo giornalista riesce a spiegare tutto in poche battute, è un dato di fatto, e Ceylan Yeginsu è decisamente una brava giornalista. «Crisi della valuta turca in termini reali — twittava lo scorso 23 maggio la corrispondente del New York Times — il prezzo di questa bibita è sceso da $ 1,92 a $ 1,87 nei 10 minuti necessari per berla».

Fra le risposte più divertenti al manifesto deprezzamento della moneta turca espresso in bevande d'asporto, quella di un giovane che chiedeva «se smettiamo di bere caffè freddo, il dollaro smetterà di aumentare?» e le surreali prese di posizione dei soliti noti che affollano internet che iniziarono ad accusare una fantomatica lobby sionista dei bibitari.

 

La crisi dell'economia turca si potrebbe spiegare così: da una parte il problema con le relative analisi ed opinioni del caso e dall'altra il rifiuto della realtà con conseguenti prese di posizione fra il surreale e il bizzarro.

Non dimenticate questo: se loro hanno i dollari, noi abbiamo la nostra gente, il nostro diritto, il nostro Allah.

Recep Tayyip Erdogan, intervistato dall'agenzia di stato Anadolu

Dopo le ultime elezioni che l'hanno visto trionfare di misura sugli avversari, il presidente turco Erdogan si è dovuto scontrare con i fondamentali di un'economia seriamente compromessa.

Il boom della prima decade del millennio è costato molto ad un paese dalle smodate ambizioni: «gli imperi non vivono due volte» titolava un bell'approfondimento pubblicato da Limes già nel 2016, descrivendo il difficile rapporto fra la Turchia di oggi e quello che fu l'Impero ottomano di ieri. Soprattutto non vivono gratis, verrebbe da aggiungere.

Essere un impero costa caro, in termini di prestigio — la compagnia aerea turca ha moltiplicato le destinazioni, così come sono aumentate le delegazioni diplomatiche — e di boutade elettorali: Erdogan ha promesso crescita economica, e ogni promessa è un debito che deve necessariamente essere pagato.

Poco importa se per finanziare la crescita bisogna inondare i mercati di liquidità, tenendo i tassi ai minimi e concedendo prestiti agevolati ad imprese e consumatori. Persino l'impegno di realizzare un ampio piano di opere pubbliche ha finito per accentuare la bulimia di moneta dell'economia nazionale, finendo per avvitare ancora di più una situazione già compromessa.

Ho appena autorizzato un raddoppio dei dazi sull'acciaio e l'alluminio della Turchia in quanto la loro valuta, la lira turca, è in rapido calo nei confronti di un dollaro molto forte. I dazi sull'alluminio saranno ora al 20% e quelli sull'acciaio al 50%. I nostri rapporti con la Turchia non sono buoni al momento.

Donald Trump,  tweet

Alle disgrazie economiche si assommano quelle geopolitiche, con Ankara impegnata in tutti i fronti caldi del vicino oriente, dalla Siria alla Palestina passando per l'Iran. L'ambizione post ottomana della Turchia di Erdogan non può prescindere dall'essere un giocatore attivo in tutte le partite, anche se questo vuol dire incrinare i rapporti con gli alleati storici della Nato nel tentativo di perseguirne di nuovi con la Russia di Putin.

Proprio in questo quadro sempre più complesso si è inserito con la consueta determinazione il presidente Trump che ha imposto alla Turchia nuovi e più pesanti dazi su alluminio e acciaio.

Con la moneta nazionale svalutata, un'economia energivora e golosa di valute estere pregiate e finanziamenti agevolati e una politica estera da grande potenza regionale, la situazione della Turchia è ad un bivio: portare alle estreme conseguenze le proprie scelte o tornare sui propri passi e salvare il salvabile.

La scelta di Erdogan di nominare il genero Albayrak come ministro dell'economia — il teorico del complotto contro la lira turca a cui anche il presidente Erdogan ormai sembra credere — e la progressiva perdita di autonomia della banca centrale in favore del potere politico sembrano chiari segnali di una scelta già fatta, e non certo la più sostenibile.

Cambiate gli euro, i dollari e l'oro che avete sotto il cuscino, in lire turche nelle nostre banche. Questa è una battaglia interna e nazionale. Questa sarà la risposta del mio popolo contro chi si è lanciato in una guerra economica contro di noi.

Recep Tayyip Erdogan, intervistato dall'agenzia di stato Anadolu

Noi italiani dovremmo ricordarci di come le campagne per l'oro alla patria non siano mai foriere di grandi successi, e proprio per questo non dovremmo sottovalutare l'importanza della lezione turca.

C'è anche l'italiana Unicredit fra le banche straniere maggiormente esposte verso Ankara, eredità di quella luna di miele che legò per lungo tempo le due sponde dei Dardanelli, e Fiat è uno dei principali produttori di automobili del paese con Doblò, Fiorino e Tipo che escono a ciclo continuo dalle catene di montaggio di Bursa.

Nel 2018 nessuno basta più a se stesso e con i mercati sempre più interdipendenti anche le singole parole hanno un peso ed un valore incalcolabile. Non basta annunciare che il proprio paese non perderà la guerra economica, per intenderci, bisogna dimostrare di avere le armi giuste per combatterla.

La Turchia non è ancora alla resa dei conti e non è detto ci arriverà nel breve termine, ma un gran numero di commentatori e analisti è ormai concorde nell'affermare che il percorso intrapreso non sia il migliore — a cominciare dal già citato New York Times che arriva a definire la politica economia turca "irresponsabile" — e neppure il più solido, capace com'è di franare sotto il peso di uno dei tanti tweet del presidente americano Trump.

I bluff, prima o dopo, vengono scoperti: un'economia che si sostiene a debito prima o dopo vacilla, così come una strategia muscolare di dazi commerciali presto o tardi presenta il conto. Anche una politica drogata dalle promesse elettorali ma scevra di una visione complessiva e di un po' di sano pudore contabile, alla lunga, crea dei danni: è solo questione di tempo.

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