“La vita davanti a sé”. Il ritorno di Sophia Loren in un film-poesia sul bisogno di accoglienza e tolleranza
Una straordinaria Sophia Loren in “La vita davanti a sé” (“The life ahead”) di Edoardo Ponti, ci consegna una storia di sofferenza, di solitudine, ai margini della vita, dove bagliori di speranza si faticano a vedere ma che ha la forza di affiorare grazie all’incontro di un’umanità solidale. Ultimi tra gli ultimi. Il film, tratto dal romanzo omonimo di Romain Gary, è uno dei titoli di punta della stagione, prodotto dalla Palomar di Carlo Degli Esposti insieme al colosso dello streaming Netflix, che lo rende disponibile sulla piattaforma dal 13 novembre. E si parla già di una corsa ai premi più importanti del 2021, Oscar in testa.
Un incontro che salva. Come nel ruvido e poetico ultimo film di Bernardo Bertolucci, “Io e te” (2012). È “La vita davanti a sé” (“The life ahead”) di Edoardo Ponti, che ci consegna una storia di sofferenza, di solitudine, ai margini della vita, dove bagliori di speranza si faticano a vedere; una speranza però che ha la forza di affiorare grazie all’incontro di un’umanità solidale. Ultimi tra gli ultimi. “La vita davanti a sé” è uno dei titoli di punta della stagione, prodotto dalla Palomar di Carlo Degli Esposti insieme al colosso dello streaming Netflix, che lo rende disponibile sulla piattaforma dal 13 novembre.
E si parla già di una corsa ai premi più importanti del 2021, Oscar in testa, soprattutto perché cuore pulsante dell’opera è Sophia Loren,
attrice-monumento del nostro cinema, osannata a Hollywood (due Oscar, cinque Golden Globe), che ha accettato di tornare sul set dopo dieci anni per abitare l’intenso e struggente ruolo di Madame Rosa dal romanzo di Romain Gary, e perché dietro alla macchina da presa c’è suo figlio Edoardo, che firma anche la sceneggiatura insieme a Ugo Chiti. La Commissione nazionale valutazione film Cei (Cnvf ) e l’Agenzia Sir hanno visto il film in anteprima. Ecco il punto.
Momo e Madame Rosa
Il testo originale di Romain Gary del 1975 è ambientato nella Parigi del dopoguerra,
Ponti e Chiti hanno scelto però di collocare la storia nella Bari odierna, nei quartieri crocevia di umanità, dove culture, religioni, ma anche povertà, condividono uno spazio comune.
Lì vive Madame Rosa (Sophia Loren), un’anziana donna ebrea, sopravvissuta all’orrore di Auschwitz, ma anche al degrado della strada. Madame Rosa nel tempo si è presa carico dei figli delle altre prostitute e ha potuto tirare avanti così, in una quotidianità invasa dai ricordi del passato e dagli incubi della deportazione. Un giorno il dottor Coen (Renato Carpentieri) le affida un bambino senegalese di dodici anni, Momo (Ibrahima Gueye), senza più casa o familiari. Momo è arrabbiato con la vita, perché gli ha tolto tutto, anzi non gli ha mai regalato qualcosa (in una battuta del film dice: “Io e la felicità non siamo della stessa razza”). I primi giorni della convivenza sono faticosi, per i modi spicci dell’anziana donna e, nel contempo, perché Momo è insofferente alle regole, anzi cerca continue scappatoie nell’illegalità. Qualcosa poi cambia, quando Madame Rosa mostra la fragilità della sua età, il peso del suo ingombrante passato, ma anche quando Momo si accorge che la solitudine è uno stagno di sofferenze…
Quell’appartamento dove gli ultimi trovano posto
La cosa più sorprendente del film “La vita davanti a sé” è l’interpretazione di Sophia Loren, in questo intenso duetto con il giovane esordiente Ibrahima Gueye.
È una recitazione giocata tutta sugli sguardi, sui non detti, su piccoli gesti che descrivono un universo di sentimenti, traumi e ricordi tenuti sottotraccia. La Loren cesella con grande eleganza e profondità il personaggio di Madame Rosa, condensando durezza, fierezza, ma anche calore e accoglienza. La donna è scampata alla Shoah, un orrore che custodisce nella memoria e sulla pelle, e ha dovuto pure sporcarsi con la vita, obbligata al marciapiede, ma non si è mai arresa. Anzi. E quando non ha più potuto proseguire per il sopraggiungere dell’età, è riuscita a rimanere in piedi tenendo in affido i figli delle altre ultime, come la prostituta Lola che le abita nel piano sottostante.
Non c’è vergogna, amarezza o lamento negli occhi di Madame Rosa, anche se con lei la vita (come per il piccolo Momo) è stata a dir poco avara.
Lei però non le ha voltato le spalle, ma l’ha affrontata e vissuta tutta, unendo al coraggio spirito di solidarietà: la sua casa è diventata un rifugio per tutti, a cominciare dai più disgraziati, senza fare differenze tra colore della pelle o religione. È uno piccolo spazio, un “buco” dice Momo, dove però l’umanità tutta trova accoglienza. Ed è proprio quello che avviene per il ragazzo, scartato dalla società, già lanciato nei sentieri della criminalità locale; lui che è nato “senza”, lì trova qualcosa: l’incontro con Madame Rosa lo cambia, lo salva, polverizzando le sue durezze e dando battito al suo cuore intorpidito. Momo si sente per la prima volta protetto, amato, con Madame Rosa e la donna trova in lui quel sostegno per percorrere quell’ultimo tratto di esistenza.
Il punto critico Cnvf-SIR
È una storia minuta, circoscritta, “La vita davanti a sé”, che mette a tema elementi centrali del nostro vivere sociale, a cominciare dal dovere-bisogno di accoglienza, tolleranza e solidarietà.
Il film di Edoardo Ponti condensa una sequela di suggestioni cinematografiche, dall’ultimo, struggente, Bertolucci di “Io e te”, per quel (ri)trovarsi in una cantina, in uno spazio stretto e insieme infinito, ai lampi colorati e poetici alla Pedro Almodóvar (quello di “Volver” del 2006 o ancor prima di “Tutto su mia madre” del 1999), raccontando l’umanità dell’appartamento di Madame Rosa e l’amicizia familiare con la prostituta Lola. Ancora, voluto poi è l’omaggio a Ettore Scola e al suo “Una giornata particolare” (1977) – interpretato dalla stessa Loren con Marcello Mastroianni –, in una dolente sequenza sui tetti del palazzo, tra file di panni stesi.
La regia di Ponti si dimostra valida e presente, abile soprattutto nel capire di dover concedere spazio alla recitazione naturale, avvolgente, della Loren con il giovane Gueye (di grande espressività!): insieme riempiono lo schermo con giochi di sguardi e parole appena accennate.
I due descrivono le sfumature del dolore, della solitudine più bruciante, che progressivamente sovvertono nei toni più caldi della tenerezza.
E lei, la Loren, brilla, irradia di luce tutto il racconto, senza però fagocitarlo. Anzi, da grande attrice, fa un passo indietro e si mette al servizio della storia, in sottrazione, regalando un personaggio di rara bellezza.
Nel complesso “La vita davanti a sé” risulta un’opera convincente per la delicatezza con cui mostra le periferie odierne, un’umanità in affanno resiliente e solidale. Un film che direziona lo sguardo tra il valore della memoria e la fiducia nel domani, puntellando il racconto di raccordi ora poetici ora educativi. Dal punto di vista pastorale “La vita davanti a sé” è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.