Donne e sport: dallo status ai salari, ancora tante le discriminazioni

Nel Dossier Indifesa anche una riflessione su sport e gender gap. Sebbene l’incidenza delle atlete negli ultimi anni stia gradualmente aumentando, le donne sono sottorappresentate negli organi decisionali delle istituzioni sportive. Dito puntato anche contro la rappresentazione spesso sessista e stereotipata dei media

Donne e sport: dallo status ai salari, ancora tante le discriminazioni

Al centro della riflessione stimolata dall’ultima edizione del nono “Dossier Indifesa”, curato da Terre des Hommes, c’è anche lo sport e il gender gap, con riflessioni sulle discriminazioni presenti in questo ambito. Nonostante la “Risoluzione sulle donne nello sport” abbia ufficialmente riconosciuto la richiesta di pari opportunità per le donne e uomini nel contesto dell'Unione Europea, esistono ancora discrepanze in termini di pari opportunità, a partire dallo status economico e dal gap salariale, ma non solo. In Italia è ancora enorme la sproporzione tra il numero delle atlete e quello degli atleti maschi, sebbene negli ultimi anni la rappresentanza delle prime stia gradualmente aumentando. Inoltre, le donne sono ancora sottorappresentate negli organi decisionali delle istituzioni sportive. Infine, le atlete sono costrette a fare i conti non solo con discriminazioni di tipo salariale, ma sempre più spesso sono oggetto di pesanti insulti sessisti rivolti loro in campo e di hate speech on line. “Evidenze che sottolineano quanta strada ci sia ancora da fare per ottenere inclusione e parità di genere anche nel mondo sportivo”, si afferma nel rapporto.

Donne e sport in Italia

Secondo “I numeri dello sport 2017” (gli ultimi disponibili) del Coni, nonostante nel sistema sportivo diverse iniziative mirino a sostenere la partecipazione delle donne, lo sport italiano è ancora di forte impronta maschile. “Sebbene l’incidenza delle atlete negli ultimi anni stia gradualmente aumentando - si legge nel rapporto - le donne sono sottorappresentate negli organi decisionali delle istituzioni sportive, a livello locale, nazionale ed europeo. Nel 2017, la quota delle atlete ha raggiunto il suo massimo storico con il 28,2% contro il 71,8% degli atleti maschi, su 4,7 milioni di tesserati complessivi. Oltre quattro operatori sportivi su cinque sono di sesso maschile. La maggiore incidenza delle donne si riscontra tra i tecnici (19,8%, dato in aumento rispetto al 2016). Tra gli ufficiali di gara le donne hanno un peso del 18,2%, mentre gli incarichi dirigenziali ricoperti dalle donne superano di poco il 15% tra gli organismi societari. La ‘quota rosa’ più bassa si rileva tra i componenti degli organismi federali, centrali e periferici, con un’incidenza del 12,4%”. Più in generale, il gap di genere riscontrato nella pratica sportiva - come in altri ambiti – trova nella minore disponibilità di tempo libero per le donne uno dei fattori di maggior impedimento.

Secondo il report del Coni, le bambine e le ragazze tra i 3 e i 24 anni hanno a disposizione mediamente 36 minuti in meno dei loro coetanei maschi da dedicare ad attività del tempo libero, a causa degli impegni in ambito familiare.
Un motivo di dibattito è dato soprattutto dalla legge 91 del 1981, che disciplina le “norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”. La legge sul professionismo sportivo, nata (in tutta fretta) in virtù del grande movimento economico che iniziava a ruotare attorno al mondo del calcio, stabiliva delle tutele doverose, ed elementari, che dovevano essere assicurate ad uno sportivo, se faceva dello sport la sua professione. Ancora vigente, la legge 91 appare ormai totalmente anacronistica: se per esempio si guarda al calcio femminile, sulla base di questa norma anche le calciatrici professioniste che hanno partecipato ai mondiali restano “dilettanti”, ciò significa che vengono pagate meno, non hanno diritto a contributi pensionistici e tutele per la maternità o non vengono risarcite in caso di molestie. 

Qualcosa nell’ultimo anno si è mosso: un emendamento alla legge di Stabilità del 2019 ha stanziato 20 milioni, per i tre anni, sotto forma di contributi statali per le società sportive che scelgano di fare contratti professionistici alle loro atlete. Nella seconda metà del 2020 si aspetta la presentazione del Testo Unico per lo sport, ovvero il decreto legislativo di attuazione della legge delega 86/2019, che riformerebbe una volta per tutte la legge del 1981 e costituirebbe un fondo ad hoc per il professionismo femminile.

L’associazione nazionale atlete (Assist) sottolinea, però, che non c’è solo un problema di discriminazioni salariali. Spesso le atlete in campo vengono coperte da insulti sessisti, o sono oggetto di hate speech on line. Dito puntato dall’associazione anche contro la rappresentazione spesso sessista e stereotipata che i media danno delle donne impegnate nello sport, invitando giornalisti e testate a battersi in favore di una rappresentazione che rispetti e valorizzi l’impegno e i risultati delle atlete.

Media, donne e sport

Il Mondiale di calcio femminile del 2019 ha dato l’opportunità di fare crescere in Italia il dibattito su donne e sport, soprattutto sulla loro rappresentazione nei media. Qualche mese prima, l’associazione di giornaliste Giulia (acronimo di GIornaliste Unite Libere Autonome) e la Uisp, con la collaborazione di numerosi partner tra cui l’Associazione Italiana Calciatori, hanno presentato il manifesto “Media, donne e sport” con l’obiettivo di far emergere nel racconto giornalistico-sportivo un linguaggio che superi stereotipi e pregiudizi e si concentri invece sulle prestazioni e le capacità delle atlete, valorizzandone gli aspetti tecnici e agonistici al pari dei colleghi uomini. Il problema della rappresentazione delle donne nei media è quantitativo e qualitativo. “Fisico da urlo”, “icona di stile”, “belle e brave”: sono solo alcuni esempi di come i media hanno spesso parlato e scritto di atlete e donne di sport, dando giudizi sull’apparenza anziché sulle prestazioni e competenze sportive, valutazioni che assai raramente hanno corrispondenze nel racconto degli sportivi uomini. Tra le regole di buon giornalismo indicate si va dall’evitare di soffermarsi nei testi sull’aspetto fisico, sul look o sulle relazioni sentimentali, al declinare al femminile i ruoli, le funzioni e le cariche (esempio: la centrocampista, l’arbitra, la dirigente, ecc.); dal dare alle discipline sportive femminili visibilità al pari di quelle maschili in termini di spazi e, a partire dalla programmazione pubblica televisiva e radiofonica, all’evidenziare le discriminazioni e differenze di genere nello sport, ad esempio per quanto riguarda i compensi sportivi, il valore dei premi e dei benefit, le tutele per le atlete.

L’Osservatorio contro le discriminazioni nello sport

Un ulteriore passo in avanti è stato fatto nell’estate del 2020 e non è piccolo. Unar, Uisp e Lunaria hanno firmato un protocollo d’intesa per monitorare episodi di discriminazione e intolleranza sul territorio per chi è vittima d’insulti per le origini, il colore della pelle, il genere, il credo religioso, le condizioni fisiche. L’obiettivo non è solo denunciare, ma anche ridare fiducia alle vittime. La nascita dell’Osservatorio è una novità assoluta in tutta Europa, ed è il primo strumento adeguato per monitorare e fornire un’analisi precisa sulle discriminazioni in ambito sportivo. In particolare, il target dell’Osservatorio non è lo sport professionistico, ma quello amatoriale e dilettantistico, dove si verifica la maggior parte di questi episodi e dove si formano anche i giovani sportivi di domani. L’attività dell’Osservatorio mira anche alla sensibilizzazione e alla formazione dei giovani per promuovere la cultura del rispetto dell’altro e dell’accoglienza.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)