Storie

Alberto Rigoni è da sempre appassionato del mondo dei treni. Questo l’ha portato a collezionare segnali, scambi, binari e pure passaggi a livello. Un ex ferroviere napoletano, poi, gli ha donato la sua raccolta di “carte”: regolamenti, funzionamenti e orari...

Volgendo lo sguardo all’insù, veniamo sovente colti da un turbinio di pensieri, emozioni che vanno dallo stupore nel cogliere qualcosa di immensamente più grande di noi, alla curiosità che ci spinge a conoscere e ricercare spazi lontani, al senso di mistero nel percepire che, al di là di ciò che in parte vediamo in quei bagliori luccicanti, c’è ben di più. 

Donne all’arrembaggio sono una ventina di cittadine dai 30 fino ai 70 anni che hanno deciso di mettere a disposizione forze e creatività per abbellire il comune e strappare un sorriso di benessere a chi ci vive. Il messaggio è chiaro: “Prendiamoci cura del bene comune”

Scrittore ma anche, e prima ancora, insegnante, giornalista, traduttore... Partigiano; accademico italianista in Inghilterra; paladino della cultura anglosassone in Italia; rigoroso demolitore di ogni retorica, in particolare di quella appiccicatagli addosso dal ventennio fascista; estremo cantore senza nostalgia del mondo dialettale e contadino della Provincia vicentina; portavoce di una comunicazione linguistica fatta di impegno civile, pensata per capire e capirsi non per parlarsi addosso; precoce sperimentatore di quel “dispatrio” che oggi tocca, nolenti o volenti, a molti giovani italiani.

Improbo per chi sta sopra la terra, immaginare ciò che in realtà pochi e arditi possono esplorare e svelare ciò che si nasconde sottoterra. Al punto che il senso di scoperta e stupore di uno speleologo, riesce a cancellare di botto tutte le fatiche che deve affrontare. Sensazioni che si leggono distintamente sui volti di chi sa di aver fatto una scoperta geologica di grande interesse, e doverla comunicare a chi si trova in superficie.

«Sono cresciuto a Venezia, nel centro storico, Dorsoduro, vicino alla basilica di Santa Maria della Salute. Anni Ottanta, allora una città ideale per un bambino, tanti pericoli – le macchine per esempio – naturalmente non esistevano, poca criminalità e via a giocare, per calli e campielli. Ricordo che facevamo pure calcio tennis, la “rete” era proprio uno stretto canale, io da una parte delle fondamenta, il mio amico dall’altra e quando la palla finiva in acqua, giù in barca a riprenderla ed è capitato non poche volte che ci finivamo noi dentro l’acqua, però non era alta. Una Venezia quella con una popolazione maggiore di adesso, ora che c’è un numero spropositato di gente che invece la usa e la spreca».