Francesco Rizzi. Maestro d’angeli da riscoprire

Scultore originario di Veggiano operò all’ombra della grande famiglia dei Bonazza e dei loro epigoni, senza sfigurare e lavorando intensamente soprattutto grazie alla stima di Jacopo Facciolati

Francesco Rizzi. Maestro d’angeli da riscoprire

Nell’ambito delle celebrazioni del 2019 per i 250 anni della morte dell’insigne latinista tauriliano, il sacerdote Jacopo Facciolati, gloria del seminario padovano, uno spazio non angusto toccherà certo allo scultore che del Facciolati ottenne la stima, al punto da farne un convinto protettore e da commissionargli personalmente un magnifico altare di marmo per l’eremo del monte Rua (ora ad Arquà) e una deliziosa Madonna col Bambino, donata al suo paese natale, ora degnamente ricollocata nell’elegante capitello realizzato nel 1811 su disegno dell’architetto benedettino Benedetto Fiancrini posto in apertura del corso principale del paese.

La simpatia del Facciolati per Francesco Rizzi, nativo di Veggiano, è stata rivisitata da un saggio di Gianni Degan (Francesco Rizzi “scultor” 1731 - dopo 1805, pp 32), che rettifica i vari errori biografici con cui l’artista viene comunemente citato e ricostruisce il suo itinerario creativo attraverso le opere certe e anche qualche “probabile” attribuzione.

«Già la nascita di Francesco Rizzi a Veggiano – spiega Degan – è un fatto interessante. Ho ritrovato il suo atto di battesimo, “Adì 26 marzo 1731” negli archivi parrocchiali, il che mi ha consentito di rettificare l’errore diffuso che lo vede nato nel 1729. Nello stesso atto viene citato il compare di battesimo, Angiolo Picolo “fabro di questa parochia”. È forse nella bottega del padrino fabbro che il piccolo Francesco ha rivelato le prime doti espressive, tali da convincere i genitori a mandarlo a Padova dove compare, a soli 11 anni, il 5 novembre 1742, già iscritto come “scultor” alla fraglia dei tagliapietra. Un onore e un onere notevoli che la famiglia di modesta estrazione non avrebbe potuto assicurargli se restava nel piccolo, periferico borgo natio».

D’altra parte anche Facciolati, nato mezzo secolo prima, deve la sua brillante carriera all’attenzione suscitata come enfant prodige. Ancora fanciullo, in una disputa di dottrina cristiana colpì talmente il vescovo cardinale Gregorio Barbarigo che questi lo mandò a studiare gratuitamente nel collegio del Tresto e subito dopo lo accettò in seminario. Evidentemente anche il piccolo Rizzi si era fatto notare. Il che non gli impedì di fare un lungo apprendistato, visto che la sua prima importante commissione documentata arriva tre lustri dopo: solo nel 1759 riceve dalla Fabbriceria della parrocchia di Caltana l’ordine per la realizzazione dell’altar maggiore in marmo di Carrara con due angeli adoranti e un bassorilievo con la Deposizione dalla croce. Opere a cui si aggiungeranno in seguito altre due statue per gli altari laterali, la Madonna di Loreto e Sant’Antonio abate.

«Di certo – spiega Degan – in questo tempo il nostro ha avuto modo di lavorare con la pietra tenera confrontandosi con i grandi modelli della scuola padovana di scultura del Settecento, i Bonazza, soprattutto Antonio, e i loro epigoni, Francesco Androsi, di cui fu allievo, e Pietro Danieletti. In questi anni, accanto alle statue certe di Torreselle, Loreggia, San Gregorio Magno in Padova, San Daniele, università, mi permetto di segnalare le somiglianze formali che potrebbero far pensare alla sua mano nel putto reggi ghirlanda collocato sul pilastro di fronte all’oratorio di San Zeno a Veggiano, probabile contrada natale di Francesco».

E il Facciolati in tutto questo cosa c’entra? C’entra perché il prete letterato, che aveva visto probabilmente all’opera il giovane scultore nella bottega dell’Androsi, poco lontano dal seminario, aveva avuto tra i suoi migliori allievi e poi collega nell’insegnamento don Giacomo Tivelli, che a Caltana era parroco. Un parroco erudito che si rivolse al Facciolati per consigliarsi sugli artisti a cui affidare i lavori in chiesa. Non a caso accanto al Rizzi vi lavorò nelle pitture il celebre allievo di Giambattista Tiepolo Francesco Zugno.

I lavori di Caltana segnano la definitiva consacrazione di Francesco Rizzi come scultore. Egli lavora, probabilmente sempre su indicazione del Facciolati, accanto al maestro Francesco Andreosi nell’altare del Barbarigo, in cattedrale, e addirittura “in competizione” con lui a Vigonovo. I due firmano un angelo ciascuno ai lati dell’altare e quello di Rizzi sicuramente vince il “duello” con la grazia e la potenza “quasi berniniana” delle sue forme. Detto per inciso, non sarebbe strano che anche nella commissione di Vigonovo ci fosse lo zampino del “clan Facciolati” visto che è il paese natale del già menzionato don Giacomo Tivelli.

In mezzo, tra il 1760 e il 1765, ci sta la duplice commissione diretta del Facciolati, già ricordata, dell’altare del Rua e della Madonna di Torreglia. Un’altra conferma della qualità artistica di questo “maestro degli angeli”: nel suo repertorio ufficiale se ne contano ben otto, e tutti con un proprio tratto particolare che li rende degni di stare accanto, senza sfigurare, al grande coro angelico marmoreo dei Bonazza.

E Rizzi non sfigurò nemmeno nel difficile compito che occupò l’ultima parte della sua carriera: non cedere agli eccessi celebrativi dei committenti delle statue del Prato della Valle, in cui realizzò tra il 1775 e il 1785 otto personaggi: Azzo II d’Este, Maffeo Memmo, Michele Savonarola, Fortunio Liceto, Giovanni Dondi dell’Orologio, Marino Cavalli, Vettor Pisani, Antonio Barbarigo.

Nel 1791 cessò l’attività per una malattia agli occhi, ma non morì, come scrivono alcuni biografi, perché nel 1805 proprio nel registro della fraglia annota di suo pugno: «Francesco Rizzi, che son io, che fazo la professiò di scultor, ma non fazo niente per causa della imperfeciò de li ochi a 74 anni e più».

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