Il sorriso di Joy, sfigurata al volto da un proiettile

Un anno fa un proiettile vagante le ha sfigurato il volto. Ma Joy non ha mai perso il sorriso. E oggi, grazie alla tenacia e alla tenerezza di tante donne, in Africa così come in Europa, è la testimonianza vivente che, come scrive Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2018, “per chi sta con Gesù, il male è provocazione ad amare sempre di più”

Il sorriso di Joy, sfigurata al volto da un proiettile

Quella domenica Joy era rimasta in casa a giocare con una cuginetta. Sarebbe stato bello uscire all’aria aperta, ma fuori c’era il coprifuoco. Un numeroso gruppo di persone stava partecipando ad una manifestazione pacifica organizzata nell’abitato in cui vive, in Camerun. Cose da grandi. Il mondo di Joy è diverso. È il mondo della spensieratezza di una ragazzina di 14 anni che ha i compiti da fare, che aiuta la mamma in casa preparando da mangiare e che ama giocare e dare libero sfogo alla fantasia.

Poi, all’improvviso un botto, il rumore di un vetro che va in pezzi e un sibilo fulmineo e sottile che attraversa l’aria come una freccia.

Così, il 1 ottobre 2017 il mondo dei grandi irrompe, senza bussare e senza chiedere permesso, nella vita di Joy. Invade il quotidiano spensierato di una ragazzina e, in una bella domenica d’inizio autunno, lo getta nel buio più profondo.

Un proiettile vagante, sparato “nel mondo dei grandi” per disperdere i manifestanti, entra dalla finestra e colpisce Joy in testa, sfigurandola. Le porta via l’occhio destro, lo zigomo e parte del naso. Il suo volto sempre sorridente si trasforma in una maschera di sangue. Tra le urla Joy viene portata in braccio da suo padre nell’ospedale più vicino. A gestirlo sono le suore terziarie di s. Francesco, che in Camerun operano in tanti ospedali.

I medici cercano di stabilizzarla e le fanno subito delle trasfusioni. Ma il responso non lascia speranze: Joy ha perso troppo sangue, non può farcela a superare la notte. Le suore si raccolgono attorno al letto della ragazzina e la vegliano in preghiera.

Tra un’Ave Maria e un Padre Nostro inizia ad albeggiare. E Joy è viva. È ancora viva. E con il levare del sole, si riaccende la speranza.

Mentre i medici si danno da fare per curare le devastanti ferite della ragazzina – che nel frattempo viene trasferita in un altro ospedale, per ricever cure specialistiche -, le suore continuano a pregare. Capiscono che per aiutare Joy servono tante mani e allora chiedono aiuto. Grazie alle moderne tecnologie la richiesta di pregare per la piccola arriva anche in Alto Adige. Sr. Loretta, che è la zia di Joy, scrive a sr. Maria Monika, che per anni è stata infermiera in Camerun.

“Quando sr. Maria Monika mi ha parlato di Joy, il suo nome mi è subito suonato familiare – ricorda Andrea Maria Zeller dell’associazione Etica Mundi -. Abbiamo subito fatto una verifica e Joy era una delle 150 bambine che usufruiscono di una borsa di studio grazie al progetto scolastico della nostra associazione”.

“In novembre sono scesa in Camerun – racconta -. Era un viaggio programmato da tempo per verificare l’andamento di una serie di progetti sostenuti dall’associazione. Con l’aiuto di sr. Ermelinde, missionaria altoatesina in Camerun, ho cercato e incontrato il padre di Joy, ho parlato con lui e gli ho portato un po’ di donazioni. In Camerun non c’è assicurazione sanitaria e le cure di Joy erano molto costose”.

La situazione clinica di Joy stava lentamente migliorando, ma la ragazzina non era ancora fuori pericolo. “L’idea era quella di portarla in un ospedale specializzato in India – prosegue Zeller -. Ho proposto loro di portarla in Europa. Per la nostra associazione sarebbe stato più facile raccogliere fondi e avremmo potuto seguire più da vicino l’evolversi della situazione”.

A fine novembre Andrea Zeller fa rientro in Italia. “Ho parlato con mio marito Ivano, che è dentista, e presentandogli il caso di Joy gli ho chiesto chi, secondo lui, avrebbe potuto operare la ragazzina”. L’uomo non ci pensa su un minuto e risponde: “Il mio collega Michael Rasse di Vienna, lui è l’unico che può intervenire in un caso difficile come questo, ma è appena andato in pensione. Lui o Alexander Gaggl di Salisburgo”. Andrea, seguendo le indicazioni del marito, scrive subito una mail a Rasse, presentandogli il caso. “Per una settimana ho aspettato con una certa apprensione che nella mia cassetta di posta elettronica arrivasse una sua risposta. Ma niente – ricorda Zeller -. Poi, pochi giorni prima di Natale suona il telefono. È lui. Si scusa per non aver risposto subito alla mia mail. Non lo aveva fatto perché per lui erano stati giorni molto impegnativi. Mi dice che aveva appena firmato un contratto con la clinica universitaria di Salisburgo, dove collaborerà con il dott. Gaggl una settimana al mese, e seguirà i casi più difficili. E aggiunge: ‘Si metta subito in contatto con la signora Gabriele Turisser a Salisburgo, le ho già parlato del caso e lei organizzerà tutto’”. “Quella telefonata è stato il più bel regalo di Natale che potessi ricevere”, ricorda Andrea Zeller, mentre i suoi occhi tradiscono ancora oggi l’emozione.

Non c’è tempo da perdere. Andrea Zeller contatta Gabriele Turisser: Joy sarà operata nel reparto di chirurgia maxillofacciale della clinica universitaria di Salisburgo e sarà seguita dai professori Gaggl e Rasse; il suo è un “caso umanitario”, quindi le spese per le cure saranno ridotte al minimo. Ora però c’è da organizzare tutto il resto. E non è poco.

Il 26 dicembre, a Hall in Tirolo, Andrea Zeller incontra la Madre generale delle Terziarie di S. Francesco e Bettina Schlemmer, medico di Monaco che collabora con la Missionszentrale del Franziskaner Bonn in Germania. “Ci siamo dette ‘quello che costa costa, ma Joy deve essere operata’ – racconta -. Ci siamo rimboccate le maniche e abbiamo iniziato a vedere quello che serviva”. Il coordinamento di tutto quello che era il trasferimento, l’assistenza e l’accoglienza di Joy e di suo padre (che l’avrebbe accompagnata) viene affidato ad Andrea Zeller.

Joy arriva alla clinica universitaria di Salisburgo subito dopo Pasqua, il 3 aprile. “Nel frattempo ci eravamo attivate per promuovere una raccolta fondi per sostenere le spese – racconta Andrea Zeller -. In tanti hanno contribuito: Etica Mundi, il settimanale diocesano di Bolzano Katholisches Sonntagsblatt, l’ufficio missionario di Bolzano-Bressanone, le suore terziarie dell’Alto Adige e di Hall in Tirolo, la Missionszentrale del Franziskaner Bonn in Germania. In poche settimane abbiamo raccolto circa 25mila euro”.

Joy viene operata il 12 aprile. Utilizzando tessuti della gamba, le viene ricostruito l’osso dello zigomo, viene ripristinata l’orbita e la fascia muscolare e viene ricostruita la palpebra. “L’intervento è durato 12 ore – racconta Andrea Zeller, che in quelle settimane si era trasferita a Salisburgo per seguire da vicino l’evolversi della situazione –. Per cinque giorni Joy è rimasta in terapia intensiva, prima di essere trasferita in una stanza del reparto”.

L’intervento è perfettamente riuscito, ma sorgono delle complicazioni. “Joy aveva sempre mal di testa e continuavano ad esserci secrezioni apparentemente ingiustificate”, racconta Zeller. Ulteriori accertamenti clinici rivelano quello che, fino ad allora, non era stato possibile vedere: il proiettile che l’aveva sfigurata aveva danneggiato anche la corteccia cerebrale. “Quel primo intervento ha messo in luce una ferita interna che, se non curata, avrebbe portato Joy alla morte”, ricorda Zeller.
Joy torna in sala operatoria il 23 aprile per un secondo intervento, anch’esso tecnicamente riuscito.

A Salisburgo il papà di Joy viene ospitato dai francescani, mentre Andrea ha la possibilità di soggiornare in una stanza della Ronald McDonald Haus. “L’accoglienza che ho ricevuto è difficile da descrivere – racconta Zeller – non ti viene data solo una stanza; il personale della casa vive con te e condivide con te le fatiche e le preoccupazioni”.

Le giornate passano una dopo l’altra. Di giorno in ospedale accanto alla ragazzina, la sera a casa per cercare di recuperare le forze per il giorno dopo. “Per sei settimane Joy è dovuta rimanere sdraiata immobile a letto – ricorda Zeller -. Per evitare infezioni era in una stanza singola, in ambiente sterilizzato e protetto. Ma nonostante tutto, Joy non ha mai perso il buonumore e il sorriso. La sua gioia è un vero dono. Non poteva uscire da quella stanza, non poteva nemmeno alzarsi dal letto. E allora il mondo “di fuori” è arrivato in quella stanza. Come? Con il portatile le facevo vedere cartoni animati, film, ascoltavamo musica. E lei cantava e ballava da sdraiata”. E quando ha iniziato lentamente a riprendersi, “da fuori” è arrivato anche qualcosa che ha fatto ancor più felice la piccola Joy. “La cucina austriaca dell’ospedale non le piaceva e quindi mangiava malvolentieri – racconta Zeller -. Appena è stato possibile, grazie alla collaborazione del personale della Ronald McDonald Haus le ho portato del gari, una sorta di polenta con una salsa. Difficile descrivere la sua gioia quando l’ha visto. Si è subito seduta sul letto e ha iniziato a mangiare con le mani, così come si fa nel suo Paese. E poi è stata la volta degli spaghetti al pomodoro, di cui andava letteralmente matta”.

A maggio le ferite di Joy, che per tutti nel reparto era la “Prinzessin”, la principessa, finalmente si rimarginano. “Quando si è alzata dal letto la prima volta ha subito voluto andare fuori nel giardino della clinica universitaria – ricorda Zeller -. La natura era un’esplosione di colori e Joy ha subito detto “sono nuova, vedo le foglie sugli alberi, sento il cinguettare degli uccelli”.

Joy viene dimessa e arriva il 16 maggio a Bressanone, dove è ospite delle terziarie di s. Francesco, che l’hanno accolta come una figlia. “Lì ha avuto modo di riprendersi fisicamente e psicologicamente – prosegue Zeller -. Le suore le hanno fatto vivere una vita “normale”. Come ogni ragazzina della sua età, andava a scuola con le suore all’istituto di Rio Pusteria, dove ha stretto amicizia con molte sue coetanee. E per il suo 15.mo compleanno, il 24 giugno, le suore hanno organizzato una grande festa nel giardino del convento”.
A fine giugno Joy deve lasciare l’Italia, perché le è scaduto il visto. Viene accolta dalle suore terziarie a Hall, in Tirolo. Ma prima di andar via, pianta nel giardino del convento di Bressanone, una rosa, la rosa di Joy. “Una rosa – aggiunge Zeller – Joy l’ha piantata, poi, anche nel convento di Hall”.

Il 17 luglio la ragazzina torna a Salisburgo per un nuovo intervento, per la correzione dell’osso e della palpebra, la creazione del sacchetto orbitale e per la riduzione delle cicatrici. “Prinzessin” trascorre altre due settimane in ospedale.
Un quarto intervento il 20 agosto, durante il quale vengono fatte ulteriori correzioni e viene adattato l’occhio artificiale. “La realizzazione della protesi è stata affidata a Waltraud Lischka dell’Augenprothetik di Krems – racconta Zeller -. Inizialmente ne ha preparate due, poi dopo gli ultimi controlli ha aggiustato il colore e la forma dell’iride e della pupilla e ha realizzato altre due protesi”.

I primi di settembre Joy torna ancora una volta a Salisburgo per gli ultimi controlli e va quindi a Krems a prendere le protesi definitive. “Il 10 settembre siamo andate a Krems, dove Joy ha ricevuto le sue nuove protesi – aggiunge Zeller – e qui ancora una sorpresa: Waltraud Lischka aveva messo a punto quattro protesi diverse, che ha dato a Joy, senza volere un solo euro di compenso. Così potrà cambiarle come vorrà. L’11 settembre, poi, l’ultima visita di controllo a Salisburgo. Dal momento che Joy sta ancora crescendo, i medici desiderano rivederla tra due o tre anni per apportare eventualmente altre correzioni alla parte operata”.

Mercoledì 12 settembre Joy, con suo papà, ha fatto ritorno in Camerun, dove ha potuto riabbracciare la mamma, la sua famiglia, sr. Loretta ed è tornata a giocare con i suoi cugini. Non potrà mai cancellare dal suo volto le cicatrici del male di cui è stata vittima innocente. Ma in quelle cicatrici oggi non c’è spazio per il risentimento. Perché il suo volto è stato sì sfigurato dal male, ma nonostante tutto lei non ha mai perso il sorriso ed è testimone vivente – come scrive Papa Francesco nel messaggio per la Giornata missionaria mondiale – che, “per chi sta con Gesù, il male è provocazione ad amare sempre di più”.

Irene Argentiero

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir