Un’eredità che dà frutto. Don Lucio Calore vent’anni fa tornava alla casa del Padre

Don Lucio Calore vent’anni fa tornava alla casa del Padre dopo essersi speso per gli ultimi, non solo a Padova. La sua lezione è viva ancora oggi

Un’eredità che dà frutto. Don Lucio Calore vent’anni fa tornava alla casa del Padre

Non si fermava mai. Di fronte agli impegni, alle cose da fare, alle rogne da sbrogliare don Lucio Calore, scomparso il 7 febbraio di vent’anni fa, era abituato ad andare sempre oltre. Guardando ostinatamente più in là verso chi stava peggio, chi era lontano o malato, chi non aveva un tetto, una casa o semplicemente da mangiare.

E, prima che arrivassero, se le andava a cercare queste persone. Nelle periferie, ai bordi delle strade in una città come Padova, ma anche oltre confine, in Paesi sventrati dalla guerra come quelli della ex Jugoslavia, nei campi profughi, o negli orfanotrofi della Romania. Uno sguardo e un impegno che la famiglia di don Lucio, in particolare la sorella Lucia e i fratelli Dino e Fabio, conoscevano bene. A vent’anni dalla morte ne ripercorrono la figura di sacerdote innamorato della scelta fatta, generoso, sempre pronto a spendersi per le buone opere e le giuste cause. Restituendo, intessuto al ricordo, il ritratto inedito dell’uomo, del fratello e dello zio amatissimo dai nipoti.

La famiglia Calore è originaria di Sant’Osvaldo, precisamente in via Facciolati. «Papà Giuseppe era nato a Rio di Ponte San Nicolò – racconta la sorella Lucia – La famiglia si trasferì poi in via Facciolati dove siamo sempre rimasti. In questa casa, a due passi dalla chiesa e dalle campane, siamo nati e cresciuti. Eravamo una grande famiglia, nello stesso edificio abitavano anche gli zii. Mamma Evelina lo diede alla luce proprio in quella casa, primogenito di cinque figli. A farlo nascere fu una zia paterna, Celeste, era una “levatrice”. I nostri ricordi sono quelli di una famiglia unita, che amava ritrovarsi a tavola la domenica con le rispettive famiglie. Lo abbiamo fatto finché i nostri genitori erano in vita e anche poi quando non c’erano più». Lucia Calore racconta del fratello mettendo in luce alcuni aspetti personali. «Lucio era innamorato della vita. Lo è stato sino alla fine tanto che, prima di morire all’ospedale di Dolo, mi disse che appena dimesso sarebbe passato in via Facciolati per darmi una mano. Aveva un rapporto speciale con nostra mamma, una donna dolce, premurosa. Tra le sue passioni, oltre alla fotografia e alla montagna, la musica classica, aveva decine e decine di dischi. Era un uomo del fare, concreto, pragmatico e schietto, tanto che questo suo essere diretto gli procurava delle ostilità: era un sacerdote che praticava la carità cristiana più che predicarla. Pur avendo un carattere aperto, era molto riservato».

A “stravedere” per zio Lucio erano i nipoti. «Appena si creava l’occasione li portava con lui perché condividesse alcune delle sue esperienze. Il primo a partire è stato Federico. Lucio lo portò con sé in uno dei suoi viaggi in Romania. Con altri volontari andarono a consegnare aiuti ai bambini ospiti degli orfanotrofi. Lucio gli fece conoscere da vicino questa realtà carica di disagio e sofferenza. Nel 2000, oltre a Federico, a partire furono anche Matteo e Francesco, i miei figli. Lucio li portò a Roma per il Giubileo. Per i ragazzi, che oggi vivono e lavorano tutti e tre all’estero, fu un’esperienza forte. Mio fratello sapeva guardare più in là e ai ragazzi, compresi i suoi nipoti, ha insegnato proprio questo. Un’eredità che non è andata persa».

Il 7 febbraio gli Amici di don Lucio lo ricordano

Roberto Bonato è il presidente dell’associazione Amici di don Lucio Calore, nata l’11 febbraio 2003. Vi fanno parte quasi un centinaio di aderenti, persone che ebbero modo di conoscere don Lucio, di condividerne attività, percorsi e semplicemente amicizia.

Ancora una volta il ritrovo annuale del 7 febbraio, promosso dall’associazione, è l’occasione per ricordare con affetto, insieme alla famiglia e alla comunità di Cristo Re, don Lucio, «per tutti noi, Lucio».

«Lo conobbi nel 1960, da allora la nostra amicizia è durata per tutto il resto della sua vita – racconta Bonato – Il periodo più intenso è stato quello dal 1960 al 1976, prima che diventasse prete e per tutti, in patronato, il riferimento era Lucio, laico impegnato e appassionato. Lucio era al mio matrimonio e in tanti momenti della mia famiglia e di tante altre famiglie. Proprio con loro abbiamo condiviso esperienze di comunità quando si andava a Meida, a villa Rosengarten per stare in compagnia e, nello stesso tempo, eseguire piccoli lavori di manutenzione necessari prima della riapertura». Bonato sceglie di parlare dell’amico don Lucio con due foto. «La prima lo riprende con la carriola proprio davanti a villa Rosengarten, storica casa di campi scuola dell’Azione cattolica che proprio lui, quando era presidente diocesano della Giac, aveva fatto acquistare dalla Fuci nazionale nel 1968. Si fece promotore della manutenzione per circa vent’anni, coinvolgendo molte giovani famiglie della Diocesi e della parrocchia di Cristo Re. Nella foto è con i fratelli Luciano e Gabriele Masiero, mentre mette a dimora delle piante di betulla davanti alla casa, sul lato paese».

La seconda lo riprende mentre sta fotografando. «La fotografia era una sua passione: gli permetteva di raccontare la bellezza della natura e dell’amicizia – conclude Bonato – Per ricordare questo aspetto l’associazione da anni organizza una mostra fotografica, ogni volta con un tema diverso, con la partecipazione di tanti appassionati, anche da fuori Veneto. Purtroppo nel 2020 e 2021 il Covid ci ha fermati, ma contiamo di riprendere appena possibile».

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