Una famiglia colpita dal Coronavirus. L’isolamento in casa Sgualdo continua dopo che Andrea, giovane papà di Albignasego, si è ammalato a marzo

La vita di tutta la famiglia, seppur separata, continua con una certezza: i legami sono ancora più solidi di prima, soprattutto tra Andrea e Mabel Sgualdo. "Quando riaprirò quella porta un’onda d’amore m’investirà ancora prima dell’abbraccio di Mabel e dei nostri tre figli"

Una famiglia colpita dal Coronavirus. L’isolamento in casa Sgualdo continua dopo che Andrea, giovane papà di Albignasego, si è ammalato a marzo

Recupera fiato Andrea. I giorni passano e il respiro si fa meno affannoso, i colpi di tosse si diradano, non hanno più la violenza scatenata delle scorse settimane. E l’animo prende quota, anche al di là di quella porta che si è chiusa lo scorso 18 marzo e che non si è più riaperta.

Lì, dall’altra parte del muro, c’è tutta la vita di Andrea Sgualdo: Mabel, sua moglie, e i loro tre splendidi bambini, Edoardo, Samuele e Giacomo.

Il Coronavirus si è fatto largo lentamente in Andrea senza che lo potesse prevedere in alcun modo. Lui che sta sempre bene, è uno sportivo, non fuma, non si ammala mai: neppure un’influenza negli ultimi anni. «Venerdì 13 marzo ho iniziato ad accusare una stanchezza insolita, ma c’erano i bambini da seguire nel fine settimana: i compiti, i giochi all’aria aperta… e poi ero di reperibilità». Andrea è infermiere strumentista in Casa di cura di Abano Terme: «Per me è il lavoro più bello del mondo perché, in tutti questi anni di esperienza dal reparto fino alla sala operatoria, ho capito sempre più a fondo che devo continuamente coltivare una mia predisposizione interiore: è la compassione, che vuol dire una totale apertura all’altro per sostenerlo, aiutarlo, mettersi nei suoi panni. Ed è soltanto così che sei in grado di seguire un malato nelle cure, che si tratti di accompagnare qualcuno verso la morte come di stare accanto ai suoi familiari...».

Quel sabato Andrea non era convinto di essere proprio in forma, al punto da telefonare al pronto soccorso per capire cosa fare, se andare al lavoro oppure no. Alla fine ha vinto la determinazione di non mancare per un intervento urgente. «Il martedì successivo è iniziata la febbre alta che non scendeva con gli antiepiretici. Mercoledì l’esito del tampone effettuato il lunedì ai dipendenti della Casa di cura ha tagliato definitivamente la testa al toro. È stata Mabel a comunicarmelo mentre ero in preda alla febbre e ai dolori: “Sei positivo”. Ha chiuso la porta e non l’ha più riaperta. All’inizio mia moglie pensava che tutto si risolvesse velocemente conoscendo la mia fibra, ma poi ci siamo scontrati con una realtà di cui non eravamo perfettamente coscienti. È stata una fatica enorme per lei sanificare tutto, stare attenta a ogni cosa per non infettare se stessa e i bambini».

Da allora Andrea resta isolato nella stanza degli ospiti: sente i bambini correre, gridare, giocare, ma non li può vedere se non con il telefono, la sera prima di andare a dormire o di giorno per regalarsi un sorriso dei suoi tesori. «I primi giorni sono stati durissimi. Non ero presente, stavo malissimo e Mabel non ce la faceva a reggere ogni cosa. Si arrabbiava perché non rispondevo alle domande su come stavo, ma la sua reazione era unicamente dettata dalla preoccupazione, dalla stanchezza e dall’enorme frustrazione di non poter fare niente per me, sentendomi tossire senza tregua in modo spaventoso». Andrea si è aggravato sviluppando una polmonite bilaterale interstiziale, ma la sua esperienza in campo medico lo ha aiutato a tenersi monitorato: «Mi sono dotato subito di un saturimetro e quando ho visto che la saturazione dell’ossigeno nel sangue calava allora mi sono deciso a chiamare il 118». Il ricovero in medicina a Padova è durato qualche giorno, poi Andrea è tornato a casa ad Albignasego: l’isolamento resta, in attesa dei tamponi e dell’esito che arriverà solo dopo Pasqua.

«La cosa più difficile all’inizio è stata la preoccupazione di contagiare i bambini e mia moglie. Non riuscivo a pensare a me; sentivo di avere la situazione in mano e di non essere così grave. Ma loro… Abbiamo un rapporto molto forte, fisico, pieno di giochi, pallone, baci, abbracci, lotte… Siamo fatti per stare assieme. E ora mi mancano da morire». In tutte queste settimane alla famiglia Sgualdo non è mancato l’affetto della “comunità” di familiari, amici, vicini di casa, genitori dei compagni di scuola dei bambini: «Ci hanno sorpreso i biscotti arrivati a domicilio, la playstation regalata ai grandi per riempire il tempo infinito dentro casa, i messaggi da chi non ci vede da anni, le attenzioni, la generosità incondizionata. Come quella di un’amica che ha una lavanderia e si è offerta di sanificarci tutta la biancheria».

Lo sogna da tanto Andrea il momento in cui quella porta si aprirà. Pasqua quest'anno ha un significato diverso, ancora più profondo perché rappresenterà la loro rinascita. «Non vorrei essere blasfemo, ma mi immagino di uscire da questo "sepolcro" e ritrovarmi immediatamente dall’altra parte ed essere investito da un’onda d’amore ancora prima che Mabel e i miei bambini mi buttino le braccia al collo, riempiendoci a vicenda di baci e carezze». E un'incrollabile certezza sta al centro del cuore: «Il Signore non avrebbe mai potuto mettermi accanto un'altra donna. Mabel sta dimostrando ancora una volta un’incredibile forza d’animo dietro alla sua dolcezza e a un sorriso disarmante».

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